Non profit
La sussidiarietà fiscale sul danubio è di casa
A Budapest si chiama il voto dei cittadini, è pari al 10 per mille e il governo lo raddoppia. Ma misure simili sono in vigore in Slovacchia,Slovenia..
Il voto dei cittadini». In Ungheria, dove la sussidiarietà fiscale è una realtà dal 1996 e incide sull?1% delle imposte sul reddito personale, il 5 per mille si chiama così. Il copyright è delle ricercatrici Eva Kuti e Agnes Vajda, che nel 2000 intitolarono Citizen?s Vote il primo report sulla legge dell?1%. Profetiche: tre anni dopo, complice uno studio sugli scarni finanziamenti statali alle ong locali (28,4% contro la media europea del 50%), il governo decise di sostenere il ?voto? dei cittadini versando una cifra pari a quella donata tramite l?1% su un apposito fondo, il National Civil Fund, amministrato insieme a leader del terzo settore eletti sul territorio.
Oltre all?impatto economico – il Civil Fund oggi ossigena 10mila delle circa 50mila non profit ungheresi – la decisione di Budapest promosse l?adozione di strumenti di sussidiarietà fiscale nei Paesi vicini. Tra il 2001 e il 2004, infatti, Slovacchia, Lituania, Polonia, Romania e Slovenia, seppur con regole e perecentuali diverse (vedi box), hanno importato la best practice ungherese. Le ragioni di questo boom? Gli studiosi di Oncepercent.hu, portale non profit nato per monitorare la percentage philanthropy nell?Est europeo, non hanno dubbi: la società civile delle ex Repubbliche sovietiche, nata sulle ceneri del comunismo, non poteva contare sul sostegno di fondazioni e imprese come gli enti non profit dell?Europa Occidentale. L?esempio dell?Ungheria è, ancora una volta, illuminante: negli anni 90, le oltre 40mila sigle nate in brevissimo tempo dalla caduta del comunismo avevano come unico sponsor la Soros Foundation. Da qui, la larga diffusione di strumenti di sussidiarietà finanziaria nell?Est eEuropeo e la sua scarsa popolarità nella Vecchia Europa: oltre all?Italia, solo Spagna e Portogallo hanno una legge in merito, che tuttavia non consente ai cittadini di scegliere l?ente beneficiario.
L?impatto dei ?5 per mille? stranieri? Culturale, prima ancora che economico. Nello studio Explaining percentage philanthropy, l?International center for not for profit law di Washington, un istituto di ricerca con varie ramificazioni nei Paesi dell?Est Europa, rivela che nel 1999 il 94% degli adulti e il 98% dei contribuenti ungheresi era a conoscenza della legge sull?1% e che in Slovacchia, a un anno dall?entrata in vigore della legge, il 71% ne conosceva finalità e funzionamento. Numeri che, in Paesi senza una radicata tradizione filantropica, vanno letti come un primo passo verso la costruzione di una nuova cultura del dare, e a cui ha corrisposto una sempre maggiore trasparenza degli enti beneficiari (vincolati a una chiara rendicontazione delle spese) ma, in alcuni Paesi, anche la cancellazione di incentivi e sgravi per le donazioni.
È il caso di Lituania, Slovacchia e Polonia, dove la possibilità di destinare al non profit, rispettivamente, il 2,2 e 1% delle imposte sul reddito è stata ritenuta una leva più che sufficiente per lo sviluppo del terzo settore. Errore: nel 2006, terzo anno fiscale in cui i polacchi hanno potuto sfruttare il meccanismo dell?1%, solo il 4,85% dei contribuenti ha sostenuto il terzo settore. Il flop, spiega la sociologa Agnieszka Rymsza della Synapis Foundation di Varsavia, «dipende dal fatto che i cittadini dovevano anticipare il loro 1% alle organizzazioni beneficiarie». Dovevano, perché l?anno scorso il governo ha eliminato la clausola dell?anticipo, sollevando però nuove polemiche per il divieto imposto ai cittadini di indicare a quale fine ciascun ente beneficiario debba destinare i fondi. Le polemiche abbondano anche in Ungheria, dove gli enti non profit hanno tempo fino al 20 maggio per convincere i 4 milioni di contribuenti a sostenerli. Nel 2007 l?hanno fatto solo 4 ungheresi su 10. La posta in gioco è alta: nel Paese vivono 2 milioni di persone ad alto reddito che potrebbero portare al non profit ben 55 milioni di euro l?anno.
NEGLI ALTRI PAESI
Ungheria.
Dal 1996 i contribuenti possono devolvere al terzo settore l?1% delle imposte sul reddito personale. Dal 2003 la cifra stanziata dai cittadini viene raddoppiata dal governo sul National Civil Fund, cogestito con il terzo settore.
Lituania.
La sussidiarietà fiscale, in vigore dal 2002, consente di destinare il 2% delle tasse sul reddito personale a enti non profit iscritti in un registro nazionale.
Polonia.
Dal 2003 i polacchi possono destinare l?1% delle imposte. Fino al 2007, dovevano anticipare la cifra all?ente prescelto.
Portogallo.
Dal 2001 il 5 per mille delle tasse può essere devoluto a istituti pubblici o privati di beneficenza. Ma senza scegliere il beneficiario.
Romania.
Risale al 2003 la legge del 2% che consente di sostenere il non profit. Inoltre, chi destina al non profit i proventi di proprietà intellettuali beneficia di una deduzione del 5% dell?imponibile.
Slovacchia.
Dal 2004 aziende e cittadini possono scegliere l?ente non profit cui destinare il 2% delle imposte.
Slovenia.
Con il 5 per mille i contribuenti possono sostenere i sindacati e le organizzazioni non profit.
Spagna.
Lo 0,7% delle imposte sul reddito può essere devoluto alla Chiesa o a fini sociali. Ma non alle ong, e senza scegliere il beneficiario.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.