In caso di dissesto ambientale (e non solo) chiamate lei: la protezione civile. Un organismo particolare dal punto di vista organizzativo. E’ centralizzato e insieme dislocato sul territorio. E’ pubblico ma con una componente consistente di istituzioni nonprofit. E’ tecnocratico nell’impianto ma al tempo stesso relazionale nell’approccio. Lo si potrebbe considerare un soggetto ibrido della Pubblica Amministrazione. Un esempio, chissà quanto consapevole, di amministrazione condivisa non solo tra amministrazione pubblica centrale e periferica, ma anche con un contributo tutt’altro che marginale da parte della società civile organizzata.
A tenere insieme un soggetto così complesso e che peraltro è chiamato a reagire in tempi brevi rispetto a choc ambientali e sociali spesso di notevoli dimensioni è un principio ben conosciuto ma che in questo ambito assume una veste in parte inedita: la sussidiarietà. La recente legge di riforma della Protezione Civile emanata a inizio anno cita spesso la sussidiarietà, ma non, come avviene in altri casi, in forma di richiamo valoriale che “si limita” a definire lo spazio di azione per l’azione individuale e collettiva per scopi sociali. Nel caso della Protezione Civile la sussidiarietà è un meccanismo di organizzazione e di regolazione da cui dipende la qualità dell’operato. E’ la sussidiarietà che dice in che senso i territori colpiti si possono attivare, che coordina gli interventi su scala inter regionale e che, naturalmente, definisce lo spazio di azione diretto e di supporto da parte della struttura centrale.
Un caso studio davvero interessante in una fase in cui i livelli territoriali dello Stato hanno subito uno sconquasso anche a livello istituzionale in termini di attribuzione di competenze e di risorse (sussidiarietà verticale) e le organizzazioni nonprofit sono spesso relegate all’interno di nicchie operative e territoriali (sussidiarietà orizzontale).
Peccato, a proposito di nonprofit, che dai dati attualmente disponibili del Censimento permanente Istat non sia possibile ricostruire la consistenza del settore in questo ambito in quanto le attività di protezione civile sono unite a quelle di assistenza sociale. Potrebbe uscirne un quadro conoscitivo utile a comprendere fino a che punto il meccanismo sussidiario si può estendere e rafforzare per far fronte a sfide che sul fronte ambientale aumentano, con tutta evidenza, di scala e di intensità.
Una sollecitazione sempre più forte non solo perché siamo un territorio fragile e per di più con un cronico problema di manutenzione, ma perché, come sostengono alcuni osservatori, siamo già entrati in una fase catastrofica degli ecosistemi ambientali in cui a fare la differenza saranno le modalità di gestione di un assetto dominato da un cambiamento climatico irreversibile. A fronte di eventi sempre più critici – perché più violenti e ricorrenti – che già oggi scatenano reazioni a catena anche di tipo sociale ed economico (migrazioni, spopolamento, ecc.) non è da escludere, come ricorda Ezio Manzini, un progressivo scivolamento verso modalità di governo che fanno della centralizzazione e dell’autoritarismo un elemento stabile e non una semplice deroga per gestire un'emergenza che è sempre un più un dato di fatto e non un episodio circoscritto. Soggetti che invece riconoscono nella sussidiarietà un principio organizzativo possono invece rappresentare un antidoto verso questa deriva, equilibrando l'intervento top down spesso cruciale in queste situazioni con la dimensione di auto-governo delle comunità e, non da ultimo, facendo valere come vantaggio competitivo la resilienza locale rispetto alla capacità di intervento e di ripristino.
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