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La strada che va da Assisi a Porto Alegre

Il Papa ad Assisi ed il World social forum a Porto Alegre, due avvenimenti destinati a lasciare un segno profondo nell'impegno per la pace

di Giuseppe Frangi

Appena una settimana separano due avvenimenti destinati a lasciare un segno profondo nella nostra storia. Il 24 gennaio ad Assisi il Papa, assieme ai leader di altre 11 religioni, tra i quali musulmani ed ebrei, ha letto un solenne pronunciamento di impegno per la pace. Il 31 gennaio, a Porto Alegre è cominciato il secondo World social forum, un appuntamento attesissimo, anche da tutti i media, ma che dietro le quinte cercherà di formulare ipotesi concrete perché quelle parole pronunciate ad Assisi diventino un dato di fatto, vissuto e diffuso. Letture ideologiche a parte, c?è davvero un filo conduttore profondo tra quei due fatti. Ad Assisi, il Papa ha lasciato da parte ogni discorso di piattaforma comune sui valori di fede, ma molto più praticamente ha chiamato ciascuno a un impegno per la pace, nel nome e nel pieno rispetto (in ogni senso) delle proprie fedi. A Porto Alegre quell?impegno cercherà una declinazione possibile, in un nuovo modello disviluppo che aiuti la pace a mettere radici. Perché la pace è un bene fragile, che non vive di intenzioni e di buoni propositi, ma che ha bisogno di scelte concrete e quotidiane. «Abbiamo il dovere, soprattutto adesso, dopo lo sterminio di vittime e orrendi olocausti, di conoscere anzitutto i presupposti spirituali, ma anche economici e di altro genere della pace sulla terra», ha detto il patriarca ortodosso Bartolomeo I nel suo intervento ad Assisi. E ha continuato elencando i presupposti della pace: «la giustizia, il rispetto della sacralità della persona (…), l?equilibrata partecipazione di tutti ai beni della terra, della scienza e della tecnologia». Presupposti economici e di altro genere: che cos?è questo se non il programma della cinque giorni di Porto Alegre? In questi tempi dagli orizzonti tanto oscuri, l?unica chance che si può dare alla pace è, infatti, quella di portare le sue ragioni profonde dentro un orizzonte possibile, praticabile quotidianamente. E il primo passo è quello di «non smarrire il filo sottile del dialogo», come ha ribadito il presidente Ciampi dopo il colloquio avuto con Giovanni Paolo II ad Assisi. «Respingo la rassegnazione allo stato di violenza», ha detto ancora Ciampi: il riferimento obbligato è alla situazione della Palestina, dove questo filo sottilissimo s?infrange in una quotidianità devastata da immense ingiustizie e da gesti disperati. Ma quel filo resta l?unica chance, come hanno capito i 53 militari della Tsahal, l?esercito israeliano, che, con un annuncio a pagamento sul maggiore quotidiano del Paese, hanno annunciato la loro rinuncia a partecipare ad ulteriori operazioni ostili al popolo palestinese (il testo è su www.vita.it). Loro hanno scelto coraggiosamente, accettando l?incomprensione e l?impopolarità della gran parte dei loro connazionali. Uno di loro, Arik Diamant, ha spiegato che con il loro gesto hanno voluto rompere un meccanismo in cui loro stessi si sentivano intrappolati: «I posti di blocco, con la gente costretta ad aspettare ore per passare. I soldati israeliani non sono cattivi, è che non sono messi nelle condizioni di potersi comportare umanamente: non possono evitare la violenza». Ma il gesto di Arik e dei commilitoni, contiene, oltre che la disperazione per una situazione non più sopportabile, anche una grande speranza: quella che nasce ogniqualvolta l?uomo sa accogliere la diversità di chi gli sta accanto. Per questo il gesto di Assisi, nella sua semplicità, è importante al di là dei propositi espressi, per quanto impegnativi. Perché gli esponenti di quelle religioni, che il teatrino tetro del mondo e dei potenti vorrebbe sempre in guerra tra di loro per coprire e giustificare ben altre guerre, hanno dimostrato di accettarsi l?un l?altro. Di essere capaci di sincera amicizia. E di avere alcune parole in comune. Dio come creatore e padre di tutti, innanzitutto. E la pace. (Che crediamo sia una buona notizia anche per chi non crede).


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