Welfare

La storia di Sonia: «Ho la Sma e ho scelto di diventare madre»

«Non lasciamo», racconta Sonia, «che la società ci trasformi in un target e ci imponga delle condizioni a cui stare. Certo bisogna accettare alcuni compromessi, ma non si può scegliere di non farsi una famiglia solo perché si è disabili. La disabilità forse non ci vuole genitori? Non dico che sia semplice ma non mettiamoci altri limiti da soli»

di Anna Spena

Sonia ha 38 anni, ha smesso di camminare quando era adolescente e da quel momento per spostarsi usa una sedia a rotelle. Non si ricorda di quando le hanno diagnosticato la Sma, Atrofia Muscolare Spinale, aveva solo tre anni. «Mia mamma si era accorta che non camminavo bene. Pensavano che fosse un ritardo nella crescita e invece era una malattia neurodegenerativa della quale mia madre non sapeva assolutamente niente, avrebbe imparato a conoscerla poi».

Questa malattia neuromuscolare colpisce in Italia un bambino su 6mila. «Semplicemente mi sono adattata», racconta Sonia. «Quando sei così piccolo non riconosci il “prima dal dopo”, poi la mia Sma – classificata tra la forma due e la tre – non comporta grosse complicazioni a livello respiratorio».

Sonia non è mai stata autonoma: «Dipendo in tutto dagli altri, ma ho comunque una vita attiva, mi sono riorganizzata per poter vivere al meglio». Vivere al meglio significa avere una vita fatta di cose normali: Sonia lavora come impiegata amministrativa, sette anni fa si è sposata a dalla Liguria si è trasferita nella provincia di Milano. E, da due anni e mezzo, è mamma di Leila, «come la principessa di Star Wars», sorride. «La Sma è genetica, ma per trasmetterla entrambi i genitori devono essere portatori, e se lo sono c’è il 50% di possibilità che anche il bambino abbia la Sma. Mio marito non è portatore sano. Leila è portatrice ma non malata».

Durante la gravidanza Sonia non ha avuto nessuna complicazione: «ho solo partorito un po’ prima per precauzione. Conoscevo già altre persone che avevano affrontato una gravidanza ed ero abbastanza serena, nel senso che le mie paure erano uguali – e lo sono tutt’ora – a quelle delle altre mamme». Sonia è socia sia di Uildm, unione italiana lotta alla distrofia muscolare, che dell’associazione Famiglie Sma. E questo le ha permesso di sentirsi meno sola.

Leila è una bambina iperattiva: «è stato difficile non fare le cose che fanno tutte le altre mamme con i loro bambini, come non poterla prendere in braccio tutte le volte che ne ho voglia e aspettare qualcuno che la prenda al posto mio per darmela. Ma per fortuna la ricerca sta facendo grandi passi avanti e la mia durata della vita non è compromessa. Quella che faccio è una vita normale, normale tra virgolette, rimane comunque una vita da seduta».

Per adesso Sonia e suo marito Francesco non pensano ad un secondo figlio: «è già molto impegnativo così. Però sono contenta che mia figlia stia crescendo in un ambiente dove la diversità è la regola. Questo è un bene per lei perché deve essere aperta a tutto e crescere senza pregiudizi».

Il messaggio di Sonia è chiaro: «Se una persona ha il valore della famiglia, e ci crede e la desidera, non si può arrendere davanti al fatto di essere disabile. Non lasciamo che la società ci trasformi in un target e ci imponga delle condizioni alle quali stare. Certo bisogna accettare alcuni compromessi, ma l’amore li supera. Una donna con disabilità non può diventare madre? La disabilità non ci vuole genitori? Non dico che sia semplice ma non mettiamoci altri limiti da soli».

La nuova copertina di VITA dedica alle malattie rare il prossimo numero, in distribuzione dal 6 marzo, con il titolo "Le malattie rare non sono più sole": presenteremo tutti i progressi fatti dalla ricerca, le nuove terapie disponibili e le storie delle famiglie.

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