Famiglia
La storia di Serena: «Il Governo ha chiesto tutto alle famiglie, ma in cambio non ha dato niente»
Serena Zancla ha 36 anni. È la mamma di 3 bambini piccoli. Ma è anche un medico oncologo che durante i mesi del lockdown non ha mai smesso di lavorare. «Mi sono trasformata», racconta, «in babysitter - perché non ne ho trovata una - animatore, psicologa per i miei figli, chef, parrucchiera, maestra. Ora siamo stanchi, provati e preoccupati. E non vediamo nessun progetto serio a lungo termine»
di Anna Spena
Il numero di Vita in edicola "Prima i ragazzi" è tutto dedicato ai minori, 10 milioni di cittadini italiani che negli ultimi mesi sono stati invisibili, tra cui i figli di Serena.
Serena Zancla ha 36 anni. È la mamma di 3 bambini piccoli, Matteo, Riccardo e Gabriele che hanno rispettivamente 6, 5 e 2 anni. Ma è anche un medico oncologo che durante i mesi del lockdown non ha mai smesso di lavorare. Con suo marito Luigi vivono a Roma, in un appartamento di 80 mq, e durante i mesi della quarantena «mi sono trasformata in babysitter, animatore, psicologa per i miei figli, chef, parrucchiera, maestra, e ancora ho fatto la spesa per i nonni che – da supporto insostituibile nella gestione dei bambini prima dell’epidemia – si sono giustamente trincerati in casa».
Serena è una donna piena di energia, ma non è wonder woman. «L’esperienza con la didattica a distanza di Matteo è stata una tragedia», dice. «È impensabile per un bambino che stava appena iniziando a capire le differenze tra la scuola materna e quella elementare stare da solo dietro uno schermo con i fratelli che giocano a due metri da lui».
Anche il marito di Serena lavora in ambito sanitario «gestisce il personale di una rsa dove sono stati isolati alcuni reparti perché si sono verificati dei casi Covid19. Quindi abbiamo sempre lavorato entrambi ma siamo stati abbandonati da tutto e tutti». Per Serena e il marito i voucher babysitter è come se non fossero mai esistiti. «Non abbiamo trovato nessuna babysitter che ci aiutasse con i nostri tre figli», racconta. «E non le biasimo. Chi ci verrebbe in pieno lockdown e magari attraversando tutta la città con i mezzi pubblici, in una casa dove lavorano due persone sempre esposte al rischio?». Così la vita di Serena e Luigi è diventata un incastro senza mai riposo.
«Come prima cosa», spiega Serena, «ci siamo alternati con i turni di lavoro. Io la mattina dalle 8 alle 14.30 e lui dalle 14.30 alle 21, in pratica non ci siamo mai visti». Serena e Luigi sono preoccupati per i loro figli: «L’unica fortuna è che abbiamo un po’ di giardino, e i bambini stavano fuori – anche con il freddo – perché avevano letteralmente bisogno di sfogare le loro repressioni. E li capisco. Sono piccoli. E dal giorno alla notte gli hanno tolto tutte le certezze e gli appuntamenti fissi: dalla scuola ai nonni. E hanno sofferto molto, e ancora soffrono. È evidente che la loro socialità ha riportato dei danni. Sono irascibili. Di notte si svegliano per infilarsi nel nostro letto. Hanno assoluto bisogno di tornare ai loro ritmi normali».
Anche se il lockdown è finito Serena e Luigi ancora non vedono la luce in fondo al tunnel: «Siamo stanchi, provati e preoccupati. Non c’è nessun progetto a lungo termine serio. Non siamo sostenuti. Se vedessimo anche una piccola speranza seria potremmo dire ai nostri figli “non vi preoccupate”, ma non possiamo farlo. Eppure questi bambini hanno bisogno di essere premiati. Arrivati a questo punto è una necessità improcrastinabile istituire politiche familiari serie e universali ( come l'assegno unico) e a lungo termine, per far ripartire le famiglie, che sono il cuore pulsante dell'Italia e finora sono rimaste invisibili».
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