Innovazione sociale

La storia di Magnete, e di uno spazio industriale trasformato in luogo di cura e cultura

In principio era una zona industriale abbandonata nella periferia di Milano, sede della Magneti Marelli, ora è un hub di servizi alla persona e un luogo contemporaneo culturale di innovazione, dedicato alle nuove generazioni e alle comunità territoriali e professionali. Questa è la storia di Magnete. Dove «l’intervento edilizio diventa il mezzo e non il fine», e dove «la cultura cura»

di Sabina Pignataro

Uno spazio di relazione e pluralità, ospitato all’interno dell’Adriano Community Center, un hub di servizi alla persona che rigenera i 500 mila metri quadrati dell’ex area industriale Magneti Marelli, nella periferia nord est di Milano.

In quel contesto periferico e ai margini della città e al confine con la fascia metropolitana più larga, nasce infatti, su iniziativa della cooperativa sociale Proges l’Adriano Community Center, struttura polivalente composta da una RSA, appartamenti di social housing, appartamenti protetti per persone anziane, ambulatori, servizi di prossimità per il quartiere, un bistrot e, al centro di questa rete, il punto di comunità Magnete.

Ce lo racconta Noemi Satta, esperta di innovazione culturale e curatrice del libro “La cultura cura. Progettare nuovi centri culturali in tempi incerti” (edito da Vita e Pensiero).

Noemi Satta

«I lavori sono iniziati nel 2017», ricorda. «L’obiettivo era quello di fondare un nuovo centro, un luogo comunitario e aggregante su base culturale, nata dal dialogo tra due grandi attori, Fondazione Cariplo (che ha promosso la ricerca, l’animazione culturale, e diversi altri strumenti progettuali) e Proges (che ha portato nel progetto l’esperienza e lo sguardo sul tema della cura).

Oggi «Magnete si delinea come un luogo che tiene insieme in modo unico le dimensioni della cura e della cultura. Le coniuga grazie al suo essere cangiante, molteplice, abilitante le molte vocazioni, idee e desideri dipubblici diversi, a rappresentare in modo trasparente la presenza di comunità aperte, diverse, interdipendenti. Ha davanti delle sfide: di sviluppo, crescita, consolidamento e sostenibilità».

Come si è raggiunto questo obiettivo?

Per iniziare, «è stato necessario invertire il processo classico della progettazione che vede nel recupero fisico degli spazi l’obiettivo principale dell’intervento, per giungere a una visione che pone le componenti immateriali, come funzioni, servizi e people engagement, al centro del processo». Tale processo, per altro, «risulta essere anche meno rischioso, in quanto parte proprio dalla costruzione della comunità intorno ai luoghi, dalla sua analisi e mappatura: il tutto prima ancora di avere uno spazio a disposizione in cui far convergere le relazioni che la animano. I Community hub sono quindi centri di gravità per più comunità».

Così facendo, sottolinea, «l’intervento edilizio diventa il mezzo e non il fine».

Oggi Magnete è un’azione continua

Oggi Magnete è uno spazio pubblico ed è anche un’azione continua. «Il cambio di sguardo è il primo passo per il cambiamento e per trovare nuove domande di ricerca e di conseguenza nuove risposte, ma si ha bisogno di metodo e di applicazioni pratiche di processo soprattutto se si lavora in team allargati o in contesti collettivi», spiega Satta.

Questi sono in effetti i Community hub, che spesso nascono da spazi abbandonati o sottoutilizzati e attraverso processi di partecipazione e collaborazione trovano nuovi significati all’interno dei territori, rispondendo ai bisogni delle persone che li vivono. «Sono delle sperimentazioni che mischiano la dimensione urbanistica con quella sociale, dando vita a un ibrido a due facce», spiega Satta. «Da una parte uno spazio che offre servizi di welfare non profit integrati a servizi strettamente profit (come bar, ristoranti, spazi affittabili, coworking, ecc.) con lo scopo di raggiungere la sostenibilità e di sostenere (almeno in parte) le attività di natura sociale. Dall’altra parte sono dei punti focali di comunità che provano a facilitare la costruzione di relazioni con gruppi locali e attivarli nella realizzazione di servizi di interesse pubblico».

Questi sono in effetti i Community hub, che spesso nascono da spazi abbandonati o sottoutilizzati e attraverso processi di partecipazione e collaborazione trovano nuovi significati all’interno dei territori, rispondendo ai bisogni delle persone che li vivono. «Sono delle sperimentazioni che mischiano la dimensione urbanistica con quella sociale, dando vita a un ibrido a due facce», spiega Satta. «Da una parte uno spazio che offre servizi di welfare non profit integrati a servizi strettamente profit (come bar, ristoranti, spazi affittabili, coworking, ecc.) con lo scopo di raggiungere la sostenibilità e di sostenere (almeno in parte) le attività di natura sociale. Dall’altra parte sono dei punti focali di comunità che provano a facilitare la costruzione di relazioni con gruppi locali e attivarli nella realizzazione di servizi di interesse pubblico».

La cultura come cura

«Ci stavamo domandando, insieme ai colleghi e al tema tutto di Shifton, che mi ha accompagnato nella scrittura del libro e soprattutto nell’immaginare e realizzare le trasformazioni necessario di questo luogo, a quali fragilità dare risposta e su quali opportunità far breccia», spiega Satta. «L’intuizione di “Cura come cultura” e “Cultura come cura”, manifesto sensibile del nuovo Magnete, è nata così». Quando diciamo che la cultura è cura, chiarisce, pensiamo a una «cultura non progettata né vissuta come ornamentale e accessoria, ma vero e proprio ambito di ricucitura di senso e capacitazione, come base per una visione collettiva che adattandosi al con-divenire, si rinnova continuamente. La cura non solo come un efficiente sistema di erogazione dell’offerta socio-assistenziale, ma come cornice per il nutrimento di comunità aperte, plurali, interdipendenti». «La cura che non discrimina è un’attitudine a formare comunità basate su relazioni, si esprime come una “filosofia dello stare insieme” e ha tra i suoi elementi caratterizzanti il mutuo soccorso, la condivisione di risorse, lo spazio pubblico e la democrazia di prossimità. Non in alternativa a quelli del welfare state, ma con questi ben integrati».

In questo momento a Magnete si trovano fablab di cucito, laboratori di robotica, spettacoli teatrali, corsi di musica e orchestre e cori di quartiere,  sportelli di ascolto, giurie teatrali partecipate, campus scolastici, danza da ogni angolo del mondo, teatro cucina, nel bistrot dove si fa inclusione lavorativa, e azioni di cucitura tra generazioni, e di relazioni  tra cittadini e altri spazi attivi nel quartiere (la biblioteca di condominio per esempio). Per un luogo amato e vissuto che soprattutto cerca di lavorare sul connettere e sullo stare insieme.

 «Magnete-  dice Guido Cavalli, presidente di Magnete impresa sociale e tra quanti dentro Proges ha creduto da subito nell’intuizione di trasformare uno spazio di “risulta” in un luogo significativo e significante -“risponde al nuovo criterio dei nostri interventi: la prossimità. Diventa un essere prossimi nell’ascolto e anche nel proporre risposte, in modo condiviso e multidisciplinare. Soprattutto è la porta di accesso di un flusso di risorse e di energie che non vanno più solo dall’hub al territorio, ma dal territorio all’hub. Diventa il ponte per immaginare nuovi linguaggi, nuove pratiche ed esperienze di cura. E di cultura».

Reclamare il diritto allo spazio e alla cultura

Per abilitare le capacità di scambio, di costruzione, di prefigurazione, di realizzazione del cambiamento, servono non solo i luoghi normalmente deputati alla cura ma è necessario considerare tutti gli spazi pubblici, compresi quelli a vocazioni culturale, ma non solo. Ecco così che parchi, biblioteche, piazze, e anche i community hub, o i centri culturali di nuova generazione come Magnete, luoghi ibridi e polifunzionali, votati all’interdisciplinarietà, sono/diventano quegli spazi pubblici che permettono di prosperare, che assicurino accesso e inclusione, ricreazione e apprendimento, creatività e aggregazione. Magnete coltiva la sua vocazione intergenerazionale, propone e  costruisce esperienze. 

Magnete è oggi un’impresa sociale costituita da Proges, Industria scenica, Ecate, e-work con Fondazione Cova, e Biricca, che hanno onori e oneri dell’investimento in cultura e del gestire il processo sempre in corso. Soprattutto è una galassia di alleati e di soggetti che a diverso titolo collaborano, producono e co-progettano con e dentro Magente. Sinitah, Willy down Onlus, Associazione Song,  Of Passion, Ditta gioco fiaba, sono solo alcuni dei membri più attivi.

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