Cultura

La storia dell’America ha due binari che corrono, la guerra e la musica

Un grande esperto, Alessandro Portelli, in questa intervista ci accompagna in una fantastica galoppata su due secoli di note e proiettili.

di Barbara Fabiani

Chi ha fatto il boy scout si sarà chiesto almeno una volta, cantando intorno al fuoco, chi accidenti fosse mai quel John Brown «che giace nella tomba là nel Sud, ma l?anima vive ancor». Alessandro Portelli, che insegna letteratura americana e si è sempre occupato di musica popolare degli Stati Uniti, ci aiuta a svelare il mistero. Dietro questa canzone così famosa ci sono il sangue, il piombo e l?acciaio della guerra civile americana. Un rapporto, quello tra musica e guerra, che la cultura americana, come molte altre culture, ha stretto lungo tutta la sua storia militare. La società e la cultura nordamericana, però, si sono distinte per qualcosa che ha cambiato per sempre il rapporto tra musica e guerra: le canzoni pacifiste. Ma oggi che l?Afghanistan è stato bombardato, i cori tacciano.
Vita: Una curiosità. Chi era John Brown?
Alessandro Portelli: Era un canto nordista in memoria di un rivoluzionario che cercò di innescare una rivolta di schiavi e fu giustiziato per questo. Un?altra canzone notissima della guerra d?Indipendenza fu Oh Susanna: fu scritta da Stephen C. Foster sulla tradizione delle canzoni comiche in cui attori bianchi si travestivano in modo parodistico da neri e ne imitavano la musica e il linguaggio. Certe canzoni di quella guerra le sentiamo nella colonna sonora di Via col Vento, che è un?ottima raccolta di questi canti. Nella scena del ballo, l?orchestra attacca Lorena, forse la canzone più famosa tra i suddisti, la tipica lirica sulla nostalgia del soldato per la ragazza amata e la sua terra lontana. Una vera e propria Lili Marlène ante litteram. Ma nella scena in cui si vedono i feriti distesi sulle vie di Atlanta, si sente uno spiritual, Go Down Moses.
Ma veniamo al ?900. Al personaggio chiave della musica americana, Woody Guthrie…
Portelli: Negli anni 30 c?era stata la grande riscoperta della musica popolare come espressione democratica da parte di ricercatori e musicisti progressisti. Woody Guthrie, un musicista fondamentale nella storia della musica e anche della società americana, partecipò anche alla fondazione degli Almanac Singers insieme, tra gli altri, a Lee Hayes, Millard Lampell, Pete Seeger, altri nomi oggi storici tanto che artisti come Bruce Springsteen, Billy Bragg e Ani di Franco ammettono di prendere ispirazione da loro e incidono ancora le loro canzoni. Gli Almanac Singers si riconoscevano politicamente nel Partito Comunista americano ed erano molto vicini alle lotte sindacali. Le loro ballate raccontano delle condizioni dei contadini costretti a migrare attraverso l?America durante la Grande depressione, i cosiddetti Okies di cui faceva parte lo stesso Guthrie, e la vita della working class nelle nuove metropoli. Quando il presidente Roosevelt comincia a parlare di intervenire nella guerra in Europa, Guthrie e gli Almanac Singers pubblicarono diverse canzoni contro l?entrata in guerra che non li riguardava. Dopo Pearl Harbor e dopo l?invasione nazista dell?Unione Sovietica cambiarono linea e scrissero molte canzoni in cui esaltavano il carattere democratico, antifascista e popolare di questa guerra, con canzoni fortemente antifasciste come All you fascists bound to lose e che invitano a ballare Round and Round the Hitler?s Tomb. Questa mobilitazione di artisti a favore della guerra, per fermare Hitler in nome della democrazia, coinvolse anche un gruppo gospel come il Golden Quartet, che cantò canzoni come Stalin wasn?t stalling, un gioco di parole per dire che Stalin non restava con le mani in mano contro Hitler, quest?ultimo descritto come il demonio salito sulla terra. Questo è un momento molto importante della tradizione musicale americana che influenzerà moltissimo anche il revival folk degli anni 60 con le sue canzoni pacifiste contro la guerra del Vietnam: per esempio, Pete Seeger, già protagonista negli anni 40, è il maggior ispiratore della musica contro la guerra negli anni 60 e Bob Dylan e i suoi coetanei si rifanno direttamente a Guthrie.
Ma pensando alla musica americana di quegli anni ci si ricorda dello swing, del boogie woogie, di Frank Sinatra e Bing Crosby.
Portelli: E infatti la Seconda guerra mondiale è stata la prima ?guerra radiofonica americana? in cui la musica veniva largamente usata per tenere alto il morale dei soldati e ricordare loro i motivi per cui combattevano. Una delle trasformazioni del mondo musicale in quegli anni riguarda l?irruzione sulla scena nazionale della musica country, legata in precedenza soprattutto al Sud rurale. Infatti ci fu anche uno sciopero dei musicisti per il mancato versamento dei diritti musicali sulle esecuzioni trasmesse per radio e questo spinse i programmatori a ricorrere alla musica country, l?unico genere che non era sindacalizzato. Il che contribuì alla diffusione in tutto il mondo di questa musica, che in origine era un?espressione regionale, insieme al fatto che molti soldati venivano dal Sud e portarono con sé questa musica e la fecero conoscere agli altri.
C?è una canzone significativa di quel periodo?
Portelli: Penso a Have I Been Away too Long, che più che della guerra si preoccupava del rischio che le ragazze rimaste a casa non aspettassero il ritorno dei soldati. Più tardi, questo tema è ripreso da Pat Boone in una canzone che si chiama Dear John: la ?dear John letter?, che inizia con ?caro? anziché con ?dearest? o ?beloved?, è la temutissima lettera che annuncia, appunto, che la ragazza ha trovato qualcun altro.
Il patriottismo regge nelle canzoni americane anche dopo l?esplosione della bomba atomica?
Portelli:Ci sono canzoni che sostanzialmente dicono: «Abbiamo fatto bene ad arrostire quei musi gialli», ma ce ne sono moltissime di senso contrario. Sempre i Golden Quartet scrissero Atom and Evil, un altro gioco di parole che richiama Adamo ed Eva per dire che ci troviamo di fronte a una ?anti genesi?, a un potere immenso che è solo di Dio e che l?uomo non deve usare.
Ma la vera rivoluzione musicale viene con la guerra del Vietnam.
Portelli: In quell?occasione, per la prima volta la musica fu utilizzata in maniera estesa per dire ?no? alla guerra. E questo perché, sempre per la prima volta, ci fu un movimento pacifista di massa. Sono note a tutti le canzoni di Bob Dylan e di Joan Baez, ma voglio ricordare anche Barbara Dane, una cantante blues e di musica popolare che a mio giudizio è anche più brava di loro e nelle cui canzoni i soldati trovavano addirittura le indicazioni su come fare obiezione di coscienza. Però Irwin Silber nel suo saggio Songs to fight a war by, Canzoni per fare la guerra, ci ricorda che furono scritte anche canzoni pro guerra. Tra queste, la Ballad of the Green Berets scritta da un sergente dell?esercito, Barry Sadler, è solo l?esempio più plateale.
E dopo la guerra il ritorno a casa?.
Portelli: Quelle sui reduci del Vietnam sono tra le canzoni più belle e inaugurano un genere che va oltre il periodo post bellico. L?apice di queste canzoni è senz?altro Born in the Usa di Bruce Springsteen, che è del 1984. Penso anche a Iris DeMent che ha composto There is a wall in Washington riferendosi al famoso muro della memoria su cui sono scritti tutti i nomi dei caduti.
Dalla Guerra di Panama all?Afghanistan di oggi, passando per la Guerra del Golfo e il Kosovo. Che spazio ha avuto la musica in questi conflitti?
Portelli: Quasi nessuno. Potremmo citare un episodio particolare nella Guerra di Panama, quando i marines per stanare dall?ambasciata del Vaticano, dove si era rifugiato, il dittatore ed ex agente della Cia, Manuel Noriega, installarono degli enormi amplificatori e trasmisero musica ad altissimo volume per giorni e notti: una vera e propria azione di guerra a colpi di hard rock. Mi pare un bell?esempio dell?uso della musica direttamente come arma di guerra. Pochissima produzione musicale anche sulla guerra del Golfo; un?eccezione è Bombs over Bagdad del poeta e musicista nativo americano John Trudell, nel suo album AKA. Grafitti Man, del 1992, in cui condanna quella guerra.
Perché questi silenzi?
Portelli: Perché è finita l?esperienza personale della guerra. Il soldato americano bombarda a migliaia di chilometri di altezza, non vede e non vive sulla sua pelle quello che fa. Non ha l?esperienza diretta della guerra e quindi non ha nulla da dire. Inoltre sono pochi quelli che muoiono sul campo e anche chi aspetta a casa ha poco da raccontare.
E poi si arriva all?11 settembre…
Portelli: Fa un certo effetto ascoltare We shall overcome e pensare all?Afghanistan, ma credo che in quel disco si voglia cantare soprattutto l?amore per l?America. Questo spiega anche il riutilizzo in quella compilation di canzoni come This Land is your land cantata da Pete Seeger, un testo che originariamente si riferiva alla classe operaia americana. O, in un?altra occasione, My city of ruin di Springsteen riferendola alla distruzione delle due torri a New York, mentre si tratta di una canzone sul New Jersey distrutto dalla crisi economica e dall?abbandono. Noi europei abbiamo una certa difficoltà a capire come si possa essere pacifisti e contemporaneamente proclamare l?amore incondizionato per il proprio Paese anche se decide di andare in guerra. Invece è una caratteristica presente nella cultura americana. Per questo credo che Bob Dylan (a parte le sue evoluzioni ideologiche più recenti) non senta nessuna contraddizione se una canzone contro la guerra come Blowin? in the Wind finisce in quel disco.
Allora è definitivamente passato il tempo delle canzoni pacifiste negli States?
Portelli: Dopo l?attacco agli Stati Uniti ho partecipato a una manifestazione pacifista a Los Angeles, un incontro non molto ben riuscito. L?unico vero momento di partecipazione è stato quando un anziano signore, per commemorare le vittime di New York, ha cantato una canzone che riprende un classico di Woody Guthrie, Reuben James, una canzone sull?affondamento di una nave americana, la Reuben James appunto, da parte dei nazisti e sul dolore per le persone che erano morte. Ma proprio partendo da questo dolore avvertiva che questo non doveva costituire la ragione per causare altri morti, altre distruzioni, altro dolore.

Alessandro Portelli e? professore di letteratura americana a La Sapienza di Roma. e? autore di numerosi libri, fra i quali Il testo e la voce. Oralita?, letteratura e democrazia negli Stati Uniti, Taccuini americani, Woody Guthrie e la canzone popolare americana.

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