Famiglia

La storia del crack del gigante texano energia in spazzatura

Vittime sacrificali ma, purtroppo, inevitabili. Anche se, stavolta, in senso metaforico. Persone vive e vegete.

di Francesco Maggio

Mentre continua a calare, per fortuna, il conteggio delle vittime dell?attentato alle Twin Towers (2.895 ne ha calcolate di recente il New York Times, a fronte delle addirittura 40mila stimate subito dopo il tragico evento) cresce a dismisura quello delle vittime del post 11 settembre. Vittime sacrificali ma, purtroppo, inevitabili. Anche se, stavolta, in senso metaforico. Persone vive e vegete. Ma colpite dritte al cuore nella dignità, nella fiducia verso il prossimo, nel diritto almeno a uno straccio di futuro, da ciò che questa fatidica data rappresenta in fatto di stili di vita, modelli capitalistici di riferimento, regolamentazione dei sistemi finanziari: l?irruzione sulla scena economica mondiale di valori come la solidarietà, la responsabilità sociale, la trasparenza. In sostanza, di una forte e diffusa domanda di etica. Che già da tempo, sappiamo, ha significativamente contaminato i criteri di gestione di imprese e istituzioni finanziarie.

Un titolo spazzatura
Ma mancava il botto. L?evento eclatante che, come un fiume in piena, travolgesse gli argini, causasse migliaia di vittime e rendesse palese a tutti che l?economia è fonte di benessere e giustizia sociale se, e solo se, è al servizio dell?uomo, se è caratterizzata da comportamenti seri e onesti dei suoi protagonisti. Un disastro, dunque, ci voleva. E, puntualmente, si è verificato. Con tanto di colpevole con un nome ben preciso e individuato: Enron. L?«ei fu» colosso (sic!) dell?energia. Oggi, il più grande scandalo finanziario della storia americana. Che in 15 mesi, dall?agosto del 2000 al 26 novembre 2001, ha visto crollare il valore delle azioni dalla cifra record di 90,56 dollari a 3,76 per essere, soli due giorni dopo, declassato dalle agenzie di rating a ?titolo spazzatura? (e il 15 gennaio scorso eliminato dal New York Stock Exchange). Che ha mandato sul lastrico decine di migliaia di piccoli risparmiatori che su quei titoli avevano puntato, non di rado, i risparmi di una vita (mentre i massimi dirigenti, il presidente Kenneth Lay in testa, si arricchivano vendendo per tempo stock option e incassando, quando il titolo era sceso già a 38 dollari, ben 1,25 miliardi di euro). Che ha lasciato senza lavoro e senza pensione 11mila dipendenti della società, visto che il 62% del portafoglio dei fondi pensione aziendali (i famosi 401K) era composto da azioni proprie e il cui regolamento vietava ai dipendenti di disfarsene prima di aver compiuto i 50 anni. Che ha portato a esposizioni imbarazzanti istituti di credito del calibro di Citigroup (circa 1 miliardo di dollari) e Jp Morgan (2,6), peraltro sospettati dalla Sec (la Consob americana) di non aver tempestivamente e opportunamente informato i propri investitori della loro esposizione. Che ha fatto emergere, in tutta la loro banale evidenza, quanto poco credibili siano gli ?attestati di conformità? apposti ai bilanci da certe società di revisione, anche della fama (?) dell?Arthur Andersen, che doveva certificare la contabilità della Enron ma ne era contemporaneamente consulente. E che quando ha avvertito puzza di bruciato non ha saputo far altro che distruggere i documenti più scottanti.
Dulcis in fundo, il malcostume politico. Che in una vicenda di tal fatta, evidentemente, non poteva mancare. E che lambisce molto da vicino la stessa Casa Bianca, essendo George W. Bush uno dei massimi beneficiari dei contributi elettorali di Kenneth Lay. E Karl Rove (capo gabinetto), Larry Lindsey (capo dei consiglieri economici), Robert Zoellick (ministro del Commercio estero), Thomas White (sottosegretario alla Difesa): tutti a libro paga della Enron, come consulenti o manager, fino a non molto tempo fa.
Ora che lo scandalo è scoppiato in tutta la sua incredibile portata, sono in tanti a chiedersi come mai si sia potuta verificare una simile sciagura. Che nessuno si accorgesse che ci fosse tanto marcio in quell?azienda. Che addirittura, in una recente indagine sulla responsabilità sociale delle imprese energetiche (vedi a pag. 21), la Enron non risultasse poi messa tanto male. Ma tant?è. Poco importa che Bush si chiami fuori da questa brutta storia affermando che non c?entra nulla, che riformerà le leggi sulle pensioni per evitare che i lavoratori possano, tutto d?un tratto, ritrovarsi senza alcuna copertura previdenziale, che mostri cenni di ripensamento sulle politiche di deregulation dell?energia e, persino, sul protocollo di Kyoto.
La lezione da trarre da quanto accaduto Oltreoceano è un?altra. Soprattutto per noi italiani che ci accingiamo ad assistere al decollo dei fondi pensione, tra i principali protagonisti, come abbiamo visto, del caso Enron. I fondi pensione sono uno straordinario strumento per la diffusione del socially responsible investing. Rappresentano linfa vitale per le imprese in fatto di approvvigionamento di capitali. Sono gestiti in un?ottica di medio-lungo periodo che dà stabilità ai mercati. Tutto questo alla Enron non è accaduto. La lezione da trarre è allora, in fondo, semplice: non comportarsi allo stesso modo. A volte certi accadimenti, sosteneva Vico, «paiono traversie e sono opportunità».
Francesco Maggio

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