Fine vita

La spiritualità entri nella cura

In certe fasi della malattia è più forte il bisogno di riflettere sulla dimensione interiore e dare un senso alla propria condizione, alla vita e alla morte. Rispondervi è compito dell'équipe palliativista che sempre più spesso si dota di figure specificatamente formate e dedicate, gli assistenti spirituali

di Nicla Panciera

La rilevanza della cura spirituale nell’ambito delle cure palliative è ormai supportata dai risultati di una ricerca molto articolata, come confermano anche le indicazioni delle principali società scientifiche, secondo le quali il supporto spirituale deve entrare nel lavoro clinico, aggiungendosi al supporto psicologico, anch’esso importantissimo, in particolare in alcune fasi della malattia, quando diventa spesso più forte il bisogno di dare un senso alla vita, alla malattia, alla morte.

Dopo l’American College of Physicians, l’American Association of Colleges of Nursing, l’American Psychological Association e la Joint Commission (ente internazionale di valutazione e accreditamento di strutture sanitarie), anche l’European Association for Palliative Care e la Società Italiana di Cure Palliative hanno indicato nel core curriculum degli operatori in cure palliative la necessità di acquisire una specifica competenza all’assistenza spirituale. Nel nostro paese, ci sono già scuole di preparazione della figura professionale dell’assistente spirituale non confessionale in cure palliative che sappia accompagnare la persona nella sua complessità e interezza.

«Di cure palliative si parla sempre più spesso e, per quanto nella maggior parte dei casi esse subentrino alla sospensione degli altri trattamenti, possono anche affiancarsi alle cure specifiche. La dimensione spirituale è parte di esse, perché si occupano della persona  dal punto di vista fisico, psicologico, sociale e, appunto, spirituale» conferma Augusto Caraceni responsabile della struttura complessa di Cure Palliative, terapia del dolore e riabilitazione dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano e direttore della scuola di specializzazione in medicina e cure palliative Università degli studi di Milano. Caraceni interverrà al convegno “Vivere sempre la propria vita: un dialogo tra scienza, etica e cura“, previsto per il prossimo 27 novembre, alle 17, presso l’Aula Magna dell’Int in cui si approfondiranno i temi del fine vita (qui il programma).

Augusto Carceni

Medici, infermieri e tutto lo staff dell’éeuipe palliativista oltre alle competenze tecnico-sanitarie sviluppa altri tipi di competenze squisitamente umane. Per questo, può essere di aiuto per il paziente sviluppare presto una relazione di fiducia con il palliativista che lo seguirà e che con l’avanzare della malattia potrà sostituirsi allo specialista. «Una presa in carico precoce da parte dell’equipe di cure palliative, per quanto nozione piuttosto recente, è ormai diffusa. Ciò permette di includere i discorsi relativi al fine vita per tempo, quando il paziente è ancora in trattamento attivo e ha modo di riflettere e di chiedere. Trovarsi alla fine con dei discorsi irrisolti è molto difficile per tutti» spiega Caraceni. «L’hospice ha strutturalmente delle caratteristiche che consentono di affrontare certi temi con ragionamenti, chiarimenti e spiegazioni».

La dimestichezza con le tematiche del fine vita e le capacità comunicative di questi specialisti sono preziose nel relazionarsi con i singoli individui, ciascuno con la propria visione del mondo e le proprie esperienze, e con la società nel suo complesso. «Di fronte alle singole posizioni dei nostri pazienti» spiega Caraceni, «abbiamo delle bussole da seguire. Da un lato, ci basiamo su linee guida e modalità d’azione condivise tra tutti noi, dall’altro siamo pronti ad ascoltare con attenzione e argomentare con calma e pacatezza su quanto ci viene chiesto, aspettative e punti di vista altrui. Il nostro obiettivo è la qualità della vita della persona e quello che tutti quanti vogliono sono risposte». All’Istituto tumori di Milano, Irrcs oncologico che ha visto nascere l’oncologia italiana, afferiscono persone di provenienza, etnia e cultura diversa. «Io sono comunque un medico» chiarisce Caraceni «Accetto il punto di vista di tutti, ma da medico ho la responsabilità del mio paziente e prima di tutto vengono i diritti della persona».

L’assistenza spirituale non è assistenza religiosa. Il bisogno di spiritualità è di ogni essere umano e rispondervi non è più, come un tempo, prerogativa di religiosi e di ministri del culto: «Crescono le figure appositamente formate, che non ragionano in termini confessionali e che hanno le competenze per affrontare queste tematiche» spiega Caraceni che ricorda come «la normativa che regolamenta l’assistenza in hospice e al domicilio prevede che, come équipe, forniamo anche assistenza spirituale: molte strutture si sono già dotate di figure laiche esperte». E «codificate» così come già lo sono le altre figure dell’équipe, come lo psicologo e l’assistente sociale.

Una di queste è l’associazione Vidas Milano, che organizza anche corsi di formazione e che qui fornisce una definizione di assistente spirituale: «Una persona che si occupa di riconoscere e accogliere i bisogni spirituali di pazienti e famiglia per offrire loro un accompagnamento che tenga conto anche della dimensione interiore/spirituale. Questa figura può fornire perciò supporto emotivo e spirituale, e aiutare le persone a coltivare la propria dimensione nei momenti difficili, in particolare durante la malattia e nel fine vita».

La medicina palliativa, infatti, costituisce una sorta di rivoluzione, perché «sposta il focus sul dato soggettivo e riconoscono la multidimensionalità della esperienza del paziente» spiega Caraceni. «Un ribaltamento epistemologico in cui al centro della disciplina, a suo fondamento, ci sono il profilo fisico, quello psicologico e quello spirituale della persona e non uno soltanto uno dei tre».

A fondamento della medicina palliativa ci sono i profili fisico, psicologico e spirituale della persona: un ribaltamento epistemologico

Augusto Caraceni

Le cure palliative si prendono cura del paziente e di chi gli sta intorno. «Le relazioni famigliari sono molto importanti per noi, ma la nostra responsabilità è sempre in primo luogo comunque verso la persona malata. In quest’ottica, ad esempio, la comunicazione di una cattiva prognosi va gestita prima di tutto con il paziente», che non rimane più all’oscuro come un tempo di quanto lo attende. Sulla comunicazione nel fine vita molte riflessioni sono state fatte. Servirebbero ora campagne dedicate, spiega Caraceni che «spieghino cosa sono, rendano visibili i loro compiti e la loro importanza, per rendere definitivo quel cambiamento culturale nei singoli e nei sistemi e istituzioni iniziato ormai molti anni fa».

Un aspetto su cui è prioritario lavorare è quello della ricerca. La lamentata assenza di un settore accademico riconosciuto e autonomo, infatti, è un problema in via di superamento: «La medicina palliativa sta diventando una disciplina riconosciuta. Dal 2018 è stato raccomandato di inserire nei corsi di laurea una formazione specifica in “medicina palliativa e cure palliative”. Dal 2021, sono state istituite le scuole di specializzazione. Resta la preoccupante carenza di personale accademico formato e competente, di docenti attivi in cure palliative». Questo ha delle ricadute non solo sulla formazione dei nuovi palliativisti e sull’attività clinica, ma anche sull’attività di ricerca. «Servirebbe un impulso maggiore alla ricerca. Attualmente, infatti, si stenta a far decollare nuove prospettive terapeutiche della medicina palliativa».  Di ricerca e assistenti spirituali si parlerà al XXXI congresso nazionale della Società italiana cure palliative Sicp 2024  società multiprofessionale, avendo tra i suoi membri tutte le figure che si occupano della disciplina come medici, infermieri, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali, operatori socio-assistenziali, assistenti spirituali. Il congresso è in corso a Riccione dal 21 al 23 novembre e avrà come tema “Scienza innovazione cura pianificazione”.

Photo by Alla Hetman on Unsplash

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