Volontariato

La spirale della diseguaglianza

di Giulio Sensi

Chissà perché qualcuno continua a meravigliarsi quando vengono diffusi i dati relativi alle diseguaglianze in Italia. E perché la stessa meraviglia non viene riposta nel vedere che fino ad oggi non si è fatto niente per favorire un minimo di redistribuzione della ricchezza. Si, perché la crisi è ingiusta da tanti punti di vista: colpisce alcuni molto più di altri, ma permette a tutti di lamentarsi più o meno allo stesso modo.
E a molti di diventare ancora più ricchi, perlomeno a paragone di altri.

Andate nei saloni dei parrucchieri che offrono tagli e pieghe a prezzi speciali nei giorni in cui c’è meno clientela: ci troverete i benestanti, quelli che non hanno certo problemi ad arrivare a fine mese. E fanno bene, mica è un caso che siano ricchi.

È una banale riprova, però, di quanto la crisi per alcuni sia addirittura una convenienza. Ma è solo un aspetto accessorio perché i meccanismi si creano a monte: il Censis ci racconta che i redditi di impiegati e operai sono calati in termini reali dall’inizio del nuovo secolo a doppia cifra, mentre quelli dei dirigenti hanno tenuto e sono anche di poco aumentati.

E il reddito disponibile è solo una parte della ricchezza, poi ci sono i valori immobiliari e finanziari accumulati. La ricchezza, si dice spesso, è l’altra faccia della povertà.

Ma il mondo del sociale in Italia è attratto spesso solo dalla povertà: i sociologi, i protagonisti del terzo settore, i giornalisti “sociali” la studiano, la vivisezionano, la raccontano, la giudicano. A volte la travisano o la stereotipizzano.

Meno appeal esercita la ricchezza. La sua anatomia sarebbe però ancora più utile ad interpretare la società e capire come uscire dalla spirale della diseguaglianza. Non per dare contro ai ricchi e sognare di espropriarli di tutto ciò che hanno. Ma perché la diseguaglianza, come ogni spirale, si avvita su sé stessa. Se non la spezzi, rimane lì a trascinare tanti in basso e pochi in alto.

La nostra è una società squilibrata e non è solo un problema di politiche sociali o redistributive, ma anche di scelte personali: sei un pezzetto del meccanismo della diseguaglianza quando fai la spesa, quando compri una casa a prezzi ancora gonfiati, quanto fai il pieno alla macchina, quando contrai un mutuo o un prestito, quando rompi il nucleo familiare.

Lo sei pure ottusamente quando finanzi il mercato dell’azzardo. Perché in fondo la nostra società è fondata sulla diseguaglianza e la crisi non fa altro che farla aumentare, andando a rafforzare i pochi che hanno a scapito dei tanti che hanno meno o niente. Il bonus degli 80 euro del governo Renzi -provvedimento giusto e che inizia almeno a dare un segnale di un certo tipo- andrà ad alimentare i consumi, mettendo una toppa sulla fuga di certezze della classe media, senza intaccare, se non in modo temporaneo, l’iniqua struttura sociale e i meccanismi che la creano.

Che poi si manifestano in tante dimensioni, prime fra tutte quella geografica (nord-centro-sud) e poi quella familiare (famiglie con più figli). Ma più ancora che parlarne, qualcosa si dovrà fare. Perché se è vero che in Italia i poveri non bussano alle porte dei ricchi, qualcuno a quelle porta dovrà pur iniziare gentilmente a bussare.

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