Non profit

La speranza ricostruisce ad Haiti e in Camerun

Il cuore dell'esperienza: le testimonianze della camerunense Mireille Yoga e di Fiammetta Cappellini di Avsi

di Antonietta Nembri

Da Haiti al Camerun, dal paese più africano d’America distrutto dal terremoto del 12 gennaio scorso, alla nazione africana dalle grandi potenzialità e dai grandi problemi. Un viaggio apparentemente lungo in chilometri, ma molto breve seguendo il fil rouge del titolo dell’incontro di oggi pomeriggio al Meeting di Rimini Al cuore dell’esperienza: la speranza ricostruisce. La speranza che hanno raccontato Mireille Yoga, educatrice del centro sociale Edimar a Yaoundé che si occupa di ragazzi di strada, e Fiammetta Cappellini, rappresentante di Avsi in Haiti.

All’incontro era presente anche l’ambasciatrice di Haiti in Italia, Geri Benoit che ha aperto il suo intervento invitando i presenti a non dimenticare la drammatica situazione del Pakistan e riferendosi poi al suo Paese ha ricordato le parole di Giovanni Paolo II ad Haiti nel 1983 «ci disse “qualcosa deve cambiare”, ecco io ho trovato la risposta nel senso religioso: Il cuore deve cambiare, deve tornare a essere ciò per cui è fatto ossia desiderio di infinito. Il cuore non è una parola astratta, ma il punto di partenza per ricostruire l’umano. Ed è quello che voi testimoniate nel mio Paese: lavorate per la ricostruzione non solo fisica, ma anche morale. Così che milioni di persone ascoltino il loro cuore e allo stesso tempo cerchino il bene comune».

Commovente la testimonianza di Mireille Yoga che ha legato la sua azione nel centro sociale per i bambini di strada di Yaoundé alla sua adesione al movimento di Comunione e liberazione, dove ha scoperto la «bellezza di appartenere a Cristo». Un’esperienza che le ha marcato la vita «è stata la caritativa, andavo da una donna che era considerata una strega», poi nel 2001 finiti gli studi, alla ricerca di un lavoro, padre Maurizio le propose uno stage nel nord del paese da fratel Yve Lescanne che aveva una casa per ragazzi di strada dal 1975, nel 2002 fratel Yve fu ucciso e nel maggio dello stesso anno apriva il centro sociale Edimar, un nome scelto non a caso (Edimar era un ragazzo di strada brasiliano che dopo l’incontro con la comunità cristiana cambia vita, un cambiamento visto come un tradimento dai suoi ex compagni e per il quale viene ucciso). «È la bellezza che salverà il mondo» dice con forza Mireille «ed è questo il nostro metodo educativo. Far sì che ogni bambino che entra, povero, ferito, diffidente non possa più dire che nessuno ha posato uno sguardo pieno d’amore su di lui». A colpire Mireille il fatto che i ragazzi andassero al centro «un luogo dove non si dà né alloggio né cibo, ma si fa una proposta educativa. Qui incontrano un’amicizia vera, trovano parole per diventare uomini. Al centro Edimar il punto di partenza è l’educazione che noi stessi riceviamo dal movimento» spiega ricordando anche l’aiuto che il centro di Yaoundé riceve dagli italiani, come Mario Dupuis di Ca’ Edimar (villaggio per l’accoglienza, l’educazione, la formazione e il lavoro di Padova), realtà con la quale è in corso uno scambio di educatori. Mireille Yoga racconta le storie di alcuni ragazzi, di chi ha ripreso a studiare, di quanti hanno ripreso a vivere perché «sanno che se tutti li rifiutano noi li accogliamo. Da noi ci sono ragazzi di tutte le religioni» sottolinea raccontando la storia di Alidou, un ragazzo musulmano che dopo aver frequentato il centro ha deciso di ritornare in famiglia, non solo «ha convinto altri ragazzi a recuperare la loro dignità». Yoga ha poi chiuso la sua testimonianza commossa, soprattutto quando ha ricordato il marito che la sostiene nella sua opera nonostante lei sia una donna che non ha potuto avere bambini (un grave handicap nella società africana), dicendo che «il Signore rende più solida l’opera delle nostre mani».

L’intervento di Fiammetta Cappellini è stato introdotto dall’ambasciatrice di Haiti e dalla parole di Robi Ronza, moderatore dell’incontro che ha ricordato gli aiuti inviati dalla Regione Lombardia. Cappellini ha ripercorso gli eventi di Haiti dal 12 gennaio, in particolare ha sottolineato come la mattina del 13, il giorno dopo il sisma i collaboratori haitiani erano tutti davanti all’ufficio di Avsi a Port au Prince e l’hanno accolta con un frase: «lo sapevamo che voi sareste venuti» per cui a chi le chiedeva con che coraggio abbia potuto rimanere le risponde «Con quale coraggio avremmo potuto andarcene davanti a persone che stanno aspettando te?. Il futuro di Haiti è iniziato il 13 gennaio. C’era un grande senso di fratellanza e unità, noi non siamo quelli che aiutano, ma facciamo insieme agli haitiani, siamo al loro fianco». Il paese caraibico non è entrato in crisi con il terremoto, ma da quella catastrofe la crisi di Haiti è al centro dell’attenzione internazionale per la prima volta. E c’è voluto il terremoto perché i bambini seguiti da Avsi nelle due bidonville di Port au Prince venissero visitati da un medico. «Nei nostri campi non ci sono bambini non accompagnati e questo è già un successo enorme, sentendoci una famiglia abbiamo cercato soluzioni semplici» ha aggiunto ricordando anche il suo ritorno ad Haiti, dopo una breve sosta in Italia tra marzo e aprile, con il figlio Alessandro che nell’immediatezza del sisma aveva fatto tornare in Italia dai nonni, un segno del fatto che «si iniziava a pensare al futuro. Anche la popolazione inizia a credere nel proprio futuro, gli haitiani sono un popolo che punta in alto, noi dobbiamo raccogliere la sfida di accompagnarli».

Ha poi chiuso il suo intervento sottolineando anche nella sua azione Avsi adesso sta puntando alla ricostruzione «partendo dalle strutture comunitarie: scuole, ambulatori, centri nutrizionali, è comunque con gli haitiani che vogliamo riflettere su dove vogliono andare». Ma soprattutto ha invitato tutti i presenti ad aiutare lei e gli internazionali presenti con lei «a dare una risposta ai nostri bambini che vogliono andare a scuola il primo di ottobre. Aiutateci a far partire la scuola» è stato il suo invito finale.

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