Non profit
La speranza ha questi volti
L'editoriale di Giuseppe Frangi parla di quelle persone che operano non per sè, ma per il mondo.
Ogni numero di Vita è un?occasione di scoperte e di sorprese, non solo per chi lo legge (almeno così speriamo sia) ma certamente per noi che lo facciamo. Ogni settimana infatti abbiamo la conferma di quanto sia straordinario il mondo che si affaccia sulle nostre pagine. Prendiamo questo numero. Nel mezzo del ?cantiere? ci siamo chiesti in quale modo stare su una delle notizie della settimana, cioè la nuova enciclica del Papa dedicata alla speranza. Il tema era grande, decisivo per chi è impegnato sul fronte della solidarietà. Ma a leggere le reazioni e i tanti interventi, che sono di routine in circostanze come queste, ci sembrava che ci fosse poco altro da dire. Invece no. Qualcosa mancava: e ci è voluto poco per capire che quel qualcosa ogni settimana ce lo abbiamo tra le mani.È il racconto della speranza vissuta. Della speranza che si fa esperienza, che si fa desiderio di lavorare non per sé ma per il mondo. Insomma, è la cronaca della speranza che opera nella storia e nella realtà.Prendete il caso di Chiara Castellani, che da quasi 20 anni gestisce per Aifo un ospedale in angolo sperduto del Congo. L?abbiamo intervistata alla vigilia del convegno a 30 anni dalla morte di Raoul Follereau. È impressionante la forza delle sue parole. Ad esempio queste: «Se non ami, non sei in grado di realizzare progetti ed ogni progetto è inutile. Altrimenti, non si riuscirebbe ad essere realmente costruttivi: amare quello che fai è la sola maniera di far riuscire i progetti, è quello che ho sperimentato in questi anni». Per costruire si deve amare quello che si fa. Un?idea semplice, ma che spalanca orizzonti all?azione ovunque siamo impegnati. Proprio come diceva sant?Agostino: «Ama et fac». Ama e fai. Questa è speranza in atto. Ma nelle prossime pagine anche i numeri sono generati da piccole o grandi speranze. Come spiegare altrimenti la tranquilla e plebiscitaria ondata di firme con cui, attraverso il 5 per mille, gli italiani hanno voluto riaffermare il legame di fiducia con chi gratuitamente lavora per costruire il bene comune? E non conta solo che siano numeri grandi. Anche i piccoli esprimono speranze reali, come dimostra il consenso, tutto territoriale, raccolto dalle cooperative sociali. Prendete il caso de Il Tralcio, cooperativa di Berzo Inferiore, in provincia di Brescia. Ha raccolto 1.299 firme. Gli abitanti di Berzo sono 2.206. Evidentemente nel loro piccolo, ?amano e fanno?.Poi ci sono i ragazzi (e soprattutto le ragazze) di Yalla Italia. Ora esce anche un libro che racconta questa loro esperienza come un modello di integrazione. Lo ha scritto naturalmente Paolo Branca, un professore che non si limita a stare comodo in cattedra e che li ha guidati in questi anni nella loro maturazione. Ma quel libro esprime un concetto, molto concreto, a cui tanti fini intellettuali non avevano mai pensato. L?integrazione avviene per attrazione. È il fascino reciproco che abbatte i muri e costruisce assetti positivi. Anche questa non è speranza teorica, perché vive di relazioni messe in atto, di identità che si confrontano, si ammirano e non si chiudono. Grandi tutti questi portatori di speranza!
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