Nel momento in cui, il decreto sulla spending review viene emendato e alcuni provvedimenti che penalizzavano il non profit ritirati, ci sentiamo di fare retromarcia -è una provocazione- e di dare ragione al Governo: una certa spending review servirebbe al terzo settore, e nel dettaglio alle organizzazioni di volontariato.
Non quella che cancella gli spazi di partecipazione politica delle rappresentanze del terzo settore, nemmeno quella che va a colpire gli enti locali sempre più in difficoltà nel garantire i servizi sociali.
Spieghiamoci. I costi sociali del momento di crisi economica che stiamo vivendo, e delle risposte del governo, sono e saranno molti. Non serve in questa sede ripercorrere dati e descrivere situazioni che sono sotto gli occhi di tutti. Situazioni, questo si ci sentiamo di specificarlo, che si stanno modificando molto più lentamente di quello che la retorica del discorso pubblico, dei media e della società civile, fanno credere. I paracaduti sociali sono ancora molti, almeno in Italia e la ricchezza accumulata è tantae frena gli effetti della crisi.
Detto questo la contrazione dei servizi del welfare, soprattutto a partire dal prossimo anno, è sotto gli occhi di tutti, in particolare per gli effetti fortemente penalizzanti che le politiche governative hanno sugli enti locali, e nella fattispecie sui Comuni che sono le istituzioni oggi in Italia più penalizzate.
E allora prima di chiedere, come è sacrosanto, ai decisori pubblici di riporre più attenzione ad un settore di cui a parole tutti tessono le lodi, ci sentiamo di fare una provocazione al volontariato (ma che è valida per l’intero terzo settore): bene le rivendicazioni, ma non è forse giunto il momento di fare autocritica rispetto agli errori e le storture che i periodi di “vacche grasse” hanno portato?
In Italia stanno avendo successo le ricerche, e gli approcci come quello dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che stimano il valore economico del volontariato. Sarebbe interessante però una ricerca che stimasse i costi economici e sociali della mancata collaborazione, sia a livello nazionale sia a livello locale, fra le associazioni di volontariato. La tendenza a “coltivare” ognuno il proprio orto, la propria nicchia di lavoro, oltre che economicamente e socialmente insostenibile, è anche fuori moda. La frammentazione costa e anche la rinuncia a fare sistema, la mancata disponibilità ad unirsi, intelligentemente, per mantenere in vita alcuni servizi e farlo garantendo standard qualitativi alti.
Qualche esempio. Dalla ricerca “Caratteri e tendenze delle Organizzazioni di volontariato in Italia”, curata dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione e dal Centro Nazionale per il Volontariato, emerge che la voce principale di uscite delle organizzazioni di volontariato, è destinata all’acquisto di beni e servizi: il 71% dei Presidenti intervistati indica questa uscita come prevalente nel 2011.
Nei settori Sanitario e Protezione Civile la quota dei Presidenti che indicano la prevalenza dell’acquisto di beni e servizi sale all’84%.
Questo dato, oltre a confermare l’importanza preminente dell’acquisto di mezzi e attrezzature in tali ambiti di operatività del volontariato, traccia anche una strada interessante di lavoro, che riguarda la capacità delle associazioni sul territorio di fare rete, scambiarsi i mezzi ma non solo: anche capacità, competenze, supporto nel momento del bisogno, unirsi per costruire insieme una comunità più forte e solidale. Ed essere, non meno importante, più forti nell’interlocuzione con le istituzioni.
Un altro dato: sempre dalla stessa ricerca emerge che nella maggioranza assoluta (53%) gli importi massimi delle Convenzioni fra associazioni ed enti pubblici non supera i 5000 euro e comunque l’84% dei presidenti interpellati afferma di non avere convenzioni più alte di 50.000 euro. Un dato che è possibile approfondire, ma che dimostra come anche sul piano delle convenzioni spesso ci sia un’eccessiva frammentazione che duplica i servizi, i costi di gestione e quelli burocratici.
Se prendiamo a riferimento i valori non economici, è lecito chiedersi quante ancora siano le energie spese dal volontariato e dai suoi dirigenti a gestire i conflitti, quelle a cui si rinuncia non garantendo un ricambio generazionale e non essendo in grado di innovare la propria mission e coinvolgere i giovani.
Ben venga allora una spending review: di risorse, di energie, di costi. Non imposta poco democraticamente dall’alto, ma decisa dal basso dalle organizzazioni, in un processo di protagonismo e crescita sociale e civile che per le organizzazioni di volontariato, e tutto il terzo settore, sarebbe venuto il momento di percorrere.
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