Cultura

la sottile sofferenza tra madre e matrigna

Dolori e gioie delle "seconde madri" raccontati in un libro

di Benedetta Verrini

La situazione di seconda moglie e genitrice di figli non propri è sempre più frequente nell’Italia di oggi, interessata da un crescente numero di separazioni e divorzi. Per la prima volta un libro-confessione, intitolato Matrigne, di Lilia Bonomi, racconta la versione di chi riveste questo scomodo ruolo. E benedice l’arrivo dell’affido condiviso.
Tre bambini lui, una figlia affidataria lei: è il nucleo familiare messo insieme anni fa da Lilia Bonomi, che unendosi a un uomo separato si è trovata ad accompagnare (seppure non quotidianamente, visto che i piccoli erano in affido esclusivo alla madre) in un percorso di crescita i figli del marito, oltre alla propria. Da questa esperienza è nato un libro, che l’autrice non esita a definire «liberatorio», in cui illustra le dinamiche legate alla quotidianità: accudimento dei figliastri, rapporti con il compagno, relazioni con l’ambiente. In queste pagine, ovviamente, c’è la necessità di raccontare un vissuto teso a farsi accettare, assumere autorevolezza, vivere serenamente un ruolo per tradizione scomodo e antipatico (di qui il titolo, Matrigne – Manuale di sopravvivenza per madri di seconda scelta).
E se quattro figli e un impegno costante verso la normalità e la pace domestica fanno pensare alla realizzazione del mito della famiglia allargata, Bonomi boccia il modello: «È una questione personale, ma per me resta una fonte di sofferenza, preferisco non vedere l’ex moglie di mio marito». La complessità del rapporto emerge in relazione ai figli: «Rappresentano un momento di felicità di un passato di cui tu non fai parte e devi fare i conti con questo sentimento. E poi, in molti casi, i figli diventano la manifestazione del potere, emotivo e spesso anche economico, che la prima moglie esercita sul marito».
Un nodo ricorrente – e doloroso – riguarda poi la possibilità del padre di avere una voce in capitolo nel percorso di crescita ed educativo dei figli. «Quando c’è un affidamento unilaterale alla madre», prosegue Bonomi, «l’esperienza del padre può essere frustrante: oltre alla litigiosità legata al mantenimento economico, c’è il fatto che i bambini imparano subito che tu non conti, che l’ultima parola l’avrà sempre il genitore cui sono stati affidati. Ci vuole impegno e coraggio per continuare a pretendere di avere una parte nella loro crescita. Alla lunga si rischia di mollare». Benvenuto, dunque, l’affido condiviso, che con la legge 54 del 2006 ha aperto la strada alla condivisione di ruoli e responsabilità. Secondo dati recenti dell’università Cattolica di Milano, presso cui è attivo il servizio di Psicologia per la coppia e la famiglia e «gruppi di parola» per figli dei genitori separati, l’applicazione delle nuove regole sta decollando, soprattutto in Centro-Nord: si è passati da un 3,6% ante legem a un 28,6% post legem al Tribunale di Milano; da un 2,6% a un 55,2% a Roma; da un 2% a un 14% a Napoli. Un buon segno. Anche se le matrigne, dice Bonomi, «il ruolo di terzo genitore ancora non se lo possono permettere». A loro, probabilmente, è richiesto di conquistarselo sul campo.

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