Economia

La sostenibilità? È sempre più strategica e integrata nei cda delle aziende quotate italiane

È quanto emerge dallo studio “C.d.A. e politiche di sostenibilità – Rapporto 2018” realizzata dal CSR Manager Network e dai ricercatori di ALTIS in collaborazione con l’Associazione fra le società italiane per azioni

di Redazione

Le imprese italiane pongono la sostenibilità sempre più al centro nei sistemi di governance e delle strategie di business, arrivando a raggiungere il Regno Unito, da sempre all’avanguardia in questo campo.

È quanto emerge dallo studio “C.d.A. e politiche di sostenibilità – Rapporto 2018” presentato oggi a Milano e condotto attraverso questionari e analisi della documentazione aziendale sulle principali aziende quotate in Italia (40 aziende del segmento FTSE MIB). È la terza edizione della ricerca realizzata dal CSR Manager Network, l’associazione italiana che riunisce oltre 150 professionisti e manager della sostenibilità e dai ricercatori di ALTIS – Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con Assonime (Associazione fra le società italiane per azioni). Lo studio è stato elaborato grazie al supporto di Enel, Acea, Costa Crociere, Gruppo Hera, KPMG e Terna.

«Il CSR Manager Network da oltre 13 anni è al fianco dei professionisti della sostenibilità, attraverso ricerche originali, tavoli di lavoro e workshop, in partnership con le più autorevoli organizzazioni che si occupano si management e sostenibilità», afferma Fulvio Rossi, Presidente del CSR Manager Network e Responsabile Sostenibilità di Terna SpA, «La ricerca di quest’anno conferma la crescita della presenza di temi di sostenibilità nei CdA, ma evidenzia anche aree di potenziale miglioramento, ad esempio in termini di sistemi di incentivazioni, che sono un indicatore rilevante di una integrazione sostanziale».

Per Matteo Pedrini, Responsabile Area Ricerca ALTIS, «Siamo a un punto di svolta. Il grado di integrazione della sostenibilità nella corporate governance delle principali aziende italiane è allineato col Regno Unito, da sempre un punto di riferimento a riguardo. Le aziende italiane si sono attrezzate per un cambio di marcia verso nuovi modelli sempre più sostenibili. Siamo solo l’inizio di un cammino, ma ormai è evidente come la sostenibilità sia divenuta un elemento ineluttabile per le imprese».

Spazio ai comitati di sostenibilità
Ormai l’80% delle aziende ha costituito un comitato interno al C.d.A. con deleghe alla sostenibilità: una straordinaria crescita rispetto al Rapporto 2013, anno in cui solo il 25% lo aveva, ma anche rispetto al Rapporto 2017 che registrava un dato pari al 70%. Di queste, quasi 3 su 4 hanno costituito un comitato specializzato con più deleghe (es. “territorio e sostenibilità”, “controllo e rischi e sostenibilità”, “nomine e sostenibilità”), ma crescono anche le aziende che decidono di costituire un comitato che si occupi solo di Sostenibilità (15%).

Occorre sottolineare l’importanza delle nuove normative come stimolo all’evoluzione della governance: un quarto dei comitati esistenti è stato costituito nel 2017, in concomitanza con l’entrata in vigore delle norme sull’obbligo di Dichiarazione Non Finanziaria.

Il ruolo del CSR manager
Si conferma sempre più strategico: mai come oggi si è evidenziata una tale interazione dei manager dedicati alla sostenibilità con i vertici dell’organizzazione, sia con il Comitato che con l’Amministratore Delegato. Il ruolo del CSR manager diventa cruciale quando si affrontano i rischi e le procedure legate alla sostenibilità:

  • interagisce con il comitato preposto alla governance della sostenibilità con maggiore frequenza, ossia ogni 3-6 mesi, per la definizione degli indirizzi strategici (politiche, linee guida, piano strategico)
  • interagisce con l’intero C.d.A. per la valutazione dei rischi sociali e ambientali ogni 6-12 mesi
  • interagisce con l’AD per discutere di procedure ogni 6 mesi.

Sviluppo degli incentivi connessi alla sostenibilità
L’indagine ha messo in evidenza una crescita nella diffusione dei sistemi di incentivazione legati alla sostenibilità, per cui si può affermare che gli aspetti sociali e ambientali sono a oggi sempre più identificati come determinanti del successo delle aziende:

  • Il 40% delle aziende FTSE-MIB ha legato parte del compenso variabile dei membri del C.d.A. alle performance socio-ambientali (16/40); in lieve crescita rispetto al rapporto 2017
  • in media la componente della retribuzione variabile legata alle performance socio-ambientali si attesta intorno al 16%, e intorno al 12% per l’A.D., incluso quando cumula la carica di DG, con un panorama variegato in cui si registrano estremi che vanno dall’1% al 25% (Cfr. Figura 3);

Una buona corporate governance della sostenibilità favorisce maggiore trasparenza nelle Dichiarazioni Non Finanziarie
38 su 40 delle aziende analizzate (95%) sono state soggette ad obbligo di pubblicazione della DNF: è emersa una stretta relazione tra la presenza di comitati dedicati alla sostenibilità e le scelte effettuate in merito alla pubblicazione della DNF. In presenza di un comitato del C.d.A. dedicato alla sola sostenibilità le DNF sono più dettagliate (nella maggior parte dei casi superano le 150 pagine e utilizzano più della m metà degli indicatori GRI). Infine, la presenza combinata di comitati e sistemi di incentivazione legati alla sostenibilità, è associata a una DNF con informazioni più complete (33% indicatori GRI vs 24%).

Il CSR Manager Network ha recentemente lanciato con l’Università di Siena l’ “Osservatorio DNF – Osservatorio delle Dichiarazioni Non Finanziarie (DNF) e delle Pratiche Sostenibili”, la prima e unica piattaforma online che attraverso una dashboard in continuo aggiornamento rende accessibili a tutti il database delle oltre 200 Dichiarazioni Non Finanziare raccolte e alcune analisi preliminari presentate in forma infografica.

«Gli obblighi di legge sulla Dichiarazione Non Finanziaria hanno ampliato la platea delle imprese che mettono a disposizione dati su aspetti ambientali e sociali: con questa piattaforma puntiamo ad aumentarne la conoscenza e l’utilizzo da parte degli stakeholder e da parte delle stesse imprese, che potranno elaborare i propri benchmark», conclude Fulvio Rossi.

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