Politica

La solitudine dei numeri ultimi. Ministro, dove sei?

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di Franco Bomprezzi

La solitudine dei numeri ultimi. Potrebbe essere il titolo di un instant book. Basterebbe mettere insieme lo stupore e lo smarrimento di quest’ultimo anno, per non parlare degli ultimi mesi, delle ultime settimane, di questi giorni surreali. I “numeri ultimi” della società civile. Le famiglie, le associazioni che si occupano di persone disabili, di anziani, di poveri. Le cooperative sociali. Le associazioni di volontariato in generale. La sensazione forte, palpabile, incontrovertibile, è quella di essere stati totalmente e sistematicamente ignorati da chi aveva il dovere di ascoltare, di condividere, di proporre.
Ricordo ancora il tono dialogante del ministro Sacconi nella redazione di Vita, davanti a un bel gruppo di responsabili di associazioni che fanno parte del Comitato editoriale. Anch’io, personalmente, ho voluto ricordare un’antica assonanza giovanile, di valori condivisi di quel socialismo riformatore attorno al quale mi sono formato, da ragazzo, nel Veneto dominato dalla Democrazia Cristiana. Una regione nella quale Sacconi e De Michelis rappresentavano, ben lo ricordo, la sinistra interna, quella dura e pura, certamente non comunista, ma lontana dai “riformisti”, dagli “autonomisti” come me e come non tanti altri, accusati (la memoria non mi tradisce di sicuro) di essere troppo “a destra”, troppo moderati.
Nel tempo sono sicuro di aver mantenuto, per quel che mi riguarda, più o meno le medesime idee di fondo. E mi ritrovo, oggi, lontanissimo da quel Sacconi, ora ministro del Welfare, ossia esattamente di quel settore nel quale il pensiero riformatore attento ai più deboli dovrebbe esaltarsi e trasformarsi in azione forte e costante. Non lo riconosco più, e mi dispiace.

Basterebbe una parola…
Non è più neppure questione di schieramenti. Ognuno faccia come gli pare, si collochi dove meglio crede, ma agisca, utilizzi il potere, quando è in condizione di farlo. Il balletto di decisioni attorno al terzo settore è impressionante per superficialità, debolezza concettuale, confusione ideologica. Stiamo ancora aspettando un qualsiasi straccio di disegno riformatore attorno ai livelli essenziali sociosanitari.
Speravamo che dal Libro bianco si passasse al libro pieno di cose fatte, di iniziative condivise, non necessariamente all’unisono, ma certo non con questa siderale distanza che ora ci fa temere il peggio. Almeno il ministro Tremonti brilla per arcigno attaccamento alla calcolatrice (ricordo una irresistibile imitazione di Corrado Guzzanti). Ma Sacconi, per la parte che riguarda, è diventato prima afono, poi sordo, infine cieco.
Non gli ho sentito dire nulla di fronte al sistematico, quasi irridente e sfrontato, attacco ai fondi destinati ai servizi sociali, programmato come un plotone di esecuzione con sempre più munizioni a disposizione nei prossimi tre anni. Quando la Fish ricorda che i tagli sono rimasti intatti, nonostante l’attenzione riservata ai poteri forti, in realtà nessuno la può smentire. Quattro miliardi subito, 16 l’anno prossimo, 20 miliardi entro due anni: o questi soldi vengono trovati in modo “virtuoso” (sic!) oppure saranno automaticamente tagliati mettendo mano alla riforma socio-assistenziale.
Questo vincolo scellerato della riforma ai tagli della spesa pubblica appare inaccettabile, grave, perfino in qualche modo incomprensibile. Perché ovviamente nessuno si può mettere a discutere, attorno a un tavolo, con la pistola puntata alla tempia. La reazione, ovvia, diventa quella della difesa ad oltranza di qualsiasi beneficio, di qualsiasi legge o leggina che sin qui ha aiutato a sopravvivere e a barcamenarsi nonostante la crisi.
Farewell welfare. Addio welfare.

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