La società dei consumi collaborativi

di Simone Chiaramonte

“Condividere non è solo bello, è il futuro”, parola di premio Pulitzer. La giornalista statunitense Tina Rosenberg, inserendosi in una discussione che appassiona un pubblico sempre più allargato, sul New York Times riconosce e spiega in maniera chiara e sintetica la rapida affermazione dell’economia collaborativa. Un modello basato sullo scambio di beni e servizi piuttosto che sul trasferimento di proprietà.

La sharing economy non è un’idea nuova, sostiene la giornalista, visto che ha funzionato ovunque per millenni: “Negli Usa è solo negli ultimi 75 anni che l’industrializzazione, la moderna meccanizzazione e l’accesso al credito hanno reso possibile il possesso di beni per usi individuali, interrompendo la tradizionale condivisione degli stessi con vicini, amici o parenti”. Cosa accade, allora, di nuovo a livello sistemico? L’economia collaborativa va arricchendosi ogni giorno di più di nuove forme e contenuti e si diffonde a macchia d’olio.

Consumatori e produttori, a partire dalla condivisione di risorse materiali (case, auto, bici, libri scolastici, vestiti, mezzi di produzione) e immateriali (conoscenze e competenze), sperimentano con successo nuove vie di sviluppo. Molte città nel mondo ospitano spazi di lavoro condivisi, nella consapevolezza che l’innovazione avviene con maggiore probabilità quando diverse discipline condividono mezzi, idee ed informazioni. Sempre più cittadini adottano stili di vita sostenibili, evitando gli sprechi, proteggendo l’ambiente, rinnovando legami comunitari.

Queste le 5 cause individuate:

Cultura verde: per alcune persone è ancora desiderabile possedere beni che rimarranno inutilizzati per il 95 per cento del tempo. Ma per molte altre questo rappresenta uno spreco: la condivisione dei beni sottoutilizzati garantisce un uso efficiente delle risorse, frutto di un cambiamento culturale in atto. –Recessione: condividere fa risparmiare, si vedano ad esempio le nuove soluzioni per la mobilità. Condividere fa guadagnare, le aziende che fanno leva su questo concetto assumono e aumentano di numero, nonostante la crisi. –Desiderio di comunità: la sharing economy dà l’opportunità di stringere rapporti con persone che condividono le medesime passioni, favorisce forme di mutualismo e solidarietà, diverte. –Lo sviluppo della tecnologia: anche negli anni Novanta nacquero servizi di condivisione ma fallirono nell’arco di poco tempo. La condivisione richiede fiducia, e la tecnologia ha trovato il modo di crearla, facilitando l’accesso ad informazioni su prodotti e individui e riducendo il rischio di furti, raggiri o danneggiamenti. –Social media: i consumi collaborativi hanno bisogno della tecnologia mobile e dei social network, per funzionare agevolmente e per espandere il proprio bacino di utenza. Gli individui infatti non racconteranno tramite e-mail le loro esperienze di condivisone, ma le renderanno pubbliche con un tweet.

LEGGI ANCHE: -Mainieri M., Quando le grandi aziende ripensano in maniera collaborativa il loro modello di business. Che Futuro!, 4/07/13 -Marchetti M.C., I nuovi spazi pubblici e la riscoperta del Noi, Labsus.org, 1/01/13 -Spaggiari O.,  Airbnb: pubblicato il sondaggio sull’economia collaborativa, Vita.it, 4/06/13


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