Il G8, con la presidenza di turno italiana, è alle porte, ma non si può certo dire che i grandi temi che dovrebbero finire sul tavolo dei Grandi occupino il dibattito politico. Le vicende internazionali, quando riescono a conquistarsi un posto in agenda, finiscono solo per alimentare schermaglie politiche interne: la recente campagna per le europee è stata tristemente emblematica. Lo sguardo della politica è corto, ed è un limite reso ancor più intollerabile se si pensa alla drammaticità della situazione che stiamo vivendo. Ma non è solo la politica a dimostrare il fiato corto. Anche la società civile sembra in affanno, incapace di mobilitarsi davanti a fatti che pur dovrebbero sollecitare le coscienze. I giovani iraniani non hanno trovato molta solidarietà pubblica nella loro rivolta contro un voto che tutti ritengono contraffatto. E se l’Italia aumenta il suo contingente in Afghanistan nessuno sembra trovare nulla da ridire. Emblematico anche il “piccolo” caso della commessa di 131 cacciabombardieri F35, approvato in via definitiva dalle commissioni Difesa di Camera e Senato proprio due giorni dopo il terremoto abruzzese. Una spesa preventivata di 15 miliardi di euro per aerei non propriamente difensivi, visto che possono portare ogive nucleari. Una voce di spesa colossale, finita in un cono d’ombra perché al centro della commessa c’è un’azienda potente come Finmeccanica. L’allargamento della base americana di Vicenza aveva suscitato ben altre reazioni: come se dietro giuste battaglie ci fosse un po’ una logica Nimby, cioè non toccate il mio giardino. Gli F35 non sciupano il giardino di nessuno e quindi non riescono a suscitare particolari indignazioni (se non quella molto civile e ben organizzata della commissione Giustizia e pace della diocesi di Novara: gli F35 verrebbero montati in un aeroporto su quel territorio). Sempre per stare a casa nostra, gli immigrati trovano solidarietà o diventano “un caso” solo se sbarcano a Lampedusa o vengono riaccompagnati in Libia. Se invece restano aldilà del mare sembrano non costituire un problema: un bravo a Gianfranco Fini che ha posto pubblicamente la questione, chiedendo alla Libia di aprire i suoi campi di accoglienza agli osservatori internazionali.
È in questo orizzonte che il Papa si appresta a rendere pubblica un’enciclica destinata a lasciare il segno. L’enciclica “sociale” di Benedetto XVI ha avuto un parto molto travagliato, sia per il lavorìo che ha chiesto, sia per il cambio di scenario con cui in corso d’opera ha dovuto fare i conti. Così se agli inizi degli anni 90 la Centesimus Annus di papa Wojtyla aveva sancito la caduta dei regimi dell’Est e l’inizio di un’era di libertà, oggi, a 20 anni di distanza, Benedetto XVI si trova invece a fare i conti con le macerie prodotte dalla degenerazione di quella libertà. La grande crisi innescata dalla finanza tossica ha messo in ginocchio un modello economico che ha usato la deregulation in modo spregiudicato e tutto speculativo. Il giudizio del Papa si annuncia drastico. Come fissasse la fine di un’epoca e la necessità di aprirne subito un’altra. Sembra strano a dirsi, ma non era mai capitato che un’enciclica si candidasse ad essere lo strumento più utile per riaccendere le nostre coscienze in vista di un G8!
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