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La società civile al Sinodo

Le testimonianze dal Camerun, da un'esperienza del movimento dei Focolari

di Redazione

Fontem, una regione sperduta nella foresta camerunense, terra del popolo Bangwa, diventa “terra di pace”. “Prefetti e magistrati notano una diminuzione dei processi in Tribunale. Diminuiscono i divorzi. C’è più dialogo nelle famiglie. Le donne che vendono al mercato si rifiutano di imbrogliare i clienti. Tanti si sentono spinti a fare il primo passo verso la riconciliazione e l’amore fraterno”. È la testimonianza di una donna bangwa, la dottoressa Mary Ategwa. E spiega: “Sono i frutti della nuova evangelizzazione di cui sono primi protagonisti proprio i re, detti fon, e i capi villaggio. È un’ondata di vita nuova che nasce da un solenne patto d’amore reciproco, fatto da Chiara Lubich nel 2000 a Fontem con due capi tribù. Un patto a cui avevano aderito le migliaia di persone presenti nella grande spianata davanti al palazzo reale. Ne nasce l’impegno di sanare sempre ogni screzio e conflitto.” In 9 anni questa vita del Vangelo ha raggiunto varie altre tribù dal Sudovest al nord ovest del Paese.
 
Tanto che – come afferma Maria Voce, la presidente dei Focolari, raccontando del suo recente viaggio in terra africana – il Fon di Fontem, Lucas Njufua, la massina autorità civile e religiosa del popolo Bangwa, esprime pubblicamente la gratitudine del suo popolo, un tempo a rischio di estinzione, «non solo per l’ospedale, le scuole e le molte opere portate avanti, in poco più di 40 anni, dal Movimento insieme al popolo, ma soprattutto per questa corrente di amore e di unità che sta cambiando la sua gente».
 
Mentre al Sinodo emerge la domanda di una più profonda inculturazione del Vangelo, una docente di Sacra Scrittura, Maria Magnolfi del Sudafrica, parla dei frutti del Centro per l’inculturazione nato nel ’92 a Nairobi: si hanno “occhi nuovi di amore con cui accostarsi alle diverse culture africane, nuova consapevolezza delle proprie radici, maggiore incidenza nell’annuncio del Vangelo, nell’accompagnamento di vocazioni, per famiglie e professionisti impegnati nel sociale”. E non ultima una profonda “inter-inculturazione tra le culture africane, ricche di diversità etniche”. Tutto parte, come suggeriva Chiara Lubich, dall’evidenziare e studiare la sapienza africana, il patrimonio delle loro culture, illuminato da quel “farsi uno con l’altro, dal ‘farsi tutto a tutti’ di S. Paolo che spinge a mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare e fa entrare nell’animo del fratello”.
 
La piaga della corruzione mina tante società africane. Ma non manca chi la combatte dal di dentro. Patience Mollé Lobé, prima donna camerunese ingegnere del genio civile che entra in un ministero dei Lavori pubblici, parla delle non poche difficoltà incontrate, ma superate nell’impegno di non cedere alle pressioni. “Le imprese che erano convinte di dover comprare qualcuno per far andare avanti le loro pratiche, ora sanno che in qualche parte del Camerun si lavora senza corruzione”. Non è sola: “Con gli altri amici che condividono questa spiritualità e che lavorano nell’amministrazione o in politica ci incoraggiamo. Crediamo fortemente che il nostro Paese andrà avanti solo con un cambiamento di mentalità. Ciò che frena è la paura di perdere il posto di lavoro, di non aver da mangiare per il domani. Ma le esperienze che Dio ci fa fare ci convincono che Dio guida la storia e che la sua Parola ha una potenza straordinaria in qualunque ambiente ci troviamo”.
 
Da una coppia del Rwanda, i Gatsinga, genitori di 8 figli di cui 4 adottati, emergono quadri di vita quotidiana controcorrente. Spicca la nuova considerazione data, nella vita di famiglia, alla consorte. Così come dal racconto di un giovane keniota, John Kimani, vengono in luce piccoli-grandi episodi: come la rinuncia ad un posto di lavoro più vantaggioso per farlo occupare da un amico che vive nelle baraccopoli, atto che aprirà una catena di sviluppi positivi. O la capacità di perdonare e riannodare rapporti con chi l’ha derubato.
 
Più volte nell’Aula sinodale è risuonata la domanda di una maggiore formazione spirituale dei sacerdoti, esigenza avvertita in tutta la Chiesa ed evidenziata in quest’Anno sacerdotale. Come racconta Innocent Thibaut, sacerdote burundese, seminaristi di etnie diverse, durante la guerra hanno saputo affrontare anche il martirio, pur di non tradire gli amici. La forza nel Vangelo vissuto, nel comune impegno di santità. “Colpiti dagli effetti della spiritualità dell’unità, i vescovi del Kenya propongono di fare qualcosa per la formazione di sacerdoti. Nasce così un Centro di spiritualità nella cittadella dei Focolari nei pressi di Nairobi, aperta a sacerdoti e seminaristi di tutta l’Africa”. Studio e riflessione, ma innanzitutto vangelo vissuto nel lavoro manuale, nei contatti personali, nella comunione delle esperienze. “In 8 anni sono passati tanti sacerdoti: hanno trovato luce per i rapporti con i propri vescovi, con gli altri sacerdoti, con i laici, nell’affrontare le questioni affettive, l’attivismo, la gestione dei beni ecclesiastici”. Le diverse dimensioni della vita risultano trasformate in amore, gioia e profonda esperienza di Dio, piena realizzazione”.
 
Pace e riconciliazione. “Pace innanzitutto è lotta interiore per conformarsi a Gesù umile e mite di cuore”. E’ anche dialogo, ascolto, amicizia con i poveri che diventa metodo per la mediazione nei conflitti, puntando al cambiamento del cuore, alla scuola del Vangelo. Lo testimonia Mario Giro della Comunità di Sant’Egidio, ricordando l’esperienza di pacificazione per il Mozambico. Povertà, Aids, le piaghe del continente. Il principio di risanamento: ancora nell’amicizia che attinge forza dalla preghiera e si fa aiuto materiale, azione di prevenzione e cura della pandemia, in atto con il noto programma Dream, che è  prima di tutto profondo rinnovamento interiore. Lo testimonia il responsabile di questo progetto in Guinea Conakry, Kpakilé Felemou.
 
Alla conclusione una solenne eucaristia “per la pace e la giustizia in Africa” nella gremitissima chiesa di S. Maria in Trastevere, presieduta dal cardinal Etchegarey, che si proclama “amante dell’Africa”, concelebrata da 70 Vescovi e altrettanti sacerdoti, quasi tutti originari di quel continente. Incisiva l’omelia di Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni, sulla preghiera e sull’umiltà. Forti le parole di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che ha trasmesso a i 2000 presenti il suo impegno per la pace in Africa e per il superamento di tutte le sue povertà.
 

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