Non profit
La società civile africana alla ricerca del Graal
Bilancio del seminario organizzato dal CESE ad Addis Ababa
Addis Ababa – Rafforzare la società civile africana è da anni un chiodo fisso del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese), organo consultivo dell’Unione Europea con la vocazione di incidere sull’agenda politica delle relazioni tra Bruxelles e i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp) a favore dello sviluppo. Una sfida titanica che passa anche per la volontà di confrontarsi a tu per tu con chi nei paesi africani deve dare voce a chi non ne ha.
Quest’anno è toccato alla Comunità dell’Africa dell’Est (Esa) e dell’Africa Orientale e Australe (Afoa), con un seminario regionale che dal 7 al 9 luglio scorso ha riunito ad Addis Ababa circa 150 attori non statali provenienti dal mondo delle ong, dei sindacati, delle cooperative e del settore privato. Insieme ai membri del Comitato di seguito Acp-Ue del Cese, si sono confrontati attorno al futuro del partenariato strategico Ue-Africa, la recente revisione dell’accordo di Cotonou (2000-2020) e lo stato di avanzamento dei negoziati sugli accordi di partenariato economico (Epa).
Sulla qualità dei dibattiti, Yaovi Akouete non ha avuto dubbi: “quasi tutti di ottima fattura”. Ma per questo sindacalista togolese di lungo corso, protagonista di mille battaglie nelle vesti di Segretario generale della Confederazione internazione dei sindacati per l’area Africa, prevale il sentimento che “ad esclusione degli imprenditori, la società civile fa ancora fatica ad essere riconosciuta dai governi africani”.
Ironia della sorte, l’Etiopia, il paese ospite dell’evento, rappresenta uno dei casi più estremi. “Nel febbraio scorso” sottolinea un rappresentante di un’ong locale che per paura di rappresaglie ha chiesto l’anonimato, “è passata una legge che costringe le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti civili e umani a finanziarsi con risorse provenienti al 90% da fonti locali”. Con il risultato che “oggi molte ong sono sull’orlo del fallimento”.
Dal canto suo, l’Unione Europea non è stata certo risparmiata dalle critiche. Molti ad Addis hanno accusato le delegazioni europee presenti nei loro paesi di non informarli sull’evoluzione dei negoziati Epa oppure sulle opportunità di finanziamento previsti dall’Accordo di Cotonou per rafforzare la società civile. “Per troppi anni Bruxelles ha snobbato gli attori sociali” riconosce Luca Jahier, presidente del Comitato ACP-UE del Cese.
“Basti pensare al ritardo con il quale Bruxelles ha deciso di nominare una figura ad hoc presso le delegazioni per seguire i rapporti con la società civile. Detto questo, è anche vero che la società civile deve darsi un po’ una mossa”.
Esempio: sui 22,7 miliardi di euro previsti dal Fondo europeo per lo sviluppo (2008-2013), “il 10% sono riservati agli attori non statali. Ora ad oggi, solo il 2% sono stati utilizzati, e non soltanto per via della complessità eccessiva dei bandi europei”. Ma allora quando la società civile africana riuscirà a spiccare il volo? “Quando i partecipanti riusciranno davvero a organizzarsi sul piano regionale.
A livello nazionale, devono sfruttare meglio i documenti finali prodotti dai seminari Acp-Ue organizzati dal Cese. Questi documenti offrono un quadro di riferimento degli orientamenti politici più importanti tra l’Unione Europea e i paesi Acp, nonché uno strumento che legittima in qualche modo le loro iniziative”.
Contrariamente all’Africa, nei Caraibi la società civile ha saputo sfruttare in pieno le opportunità offerte dal Cese. Brenda King ricorda il risultato straordinario raggiunto nel dicembre 2007 dal Comitato di seguito Acp-Ue del Cese (di cui è membro) con l’accordo globale tra il Cariforum e l’Unione Europea nell’ambito degli Epa.
“Se un accordo è stato trovato è anche grazie al fatto che siamo riusciti a convincere la Commissione europea, in particolar modo la DG Trade, di inserire una clausola sociale e una ambientale nell’accordo”. Non solo. “Per la prima volta nella storia” aggiunge Jahier, “un accordo commerciale ha incluso la creazione di un Comitato consultivo della società civile per seguire e monitorare l’impatto socio-ambientale dell’applicazione dell’accordo”.
Un esempio da seguire insomma per gli africani che sui negoziati degli Epa si stanno arenando in modo preoccupante. Un’altra preoccupazione riguarda il Consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione Africana. Dopo la sua creazione risalente al 2002 e la prima Assemblea Generale del 2008 in cui fu nominato presidente Akere Muna, l’organo chiamato a difendere gli interessi della società africana presso l’Ua fa fatica a decollare.
“Ci sono stati grossi problemi amministrativi” sostiene Muna, “e la scelta dei rappresentanti della Diaspora ha preso tempi abissali”. Nonostante tutti i problemi, il Cese conta molto sul partenariato con l’Ecosocc. “Per noi è un alleato importante, se cresce di potenza allora le cose potrebbero davvero cambiare per la società civile africana”. Di sicuro il Summit Ue-Africa previsto a Sirte a fine novembre sarà un momento significativo per far valere i diritti degli attori economici e sociali africani.
“Dopo tre anni di trattative, siamo riusciti a trovare un’intesa per promuovere azioni comuni e rafforzare la nostra partnership” sostiene Luca Jahier. “In ballo c’è un’ipotesi di dichiarazione comune al Vertice di Sirte”, preceduta da un invito ufficiale per il Cese a partecipare all’Assemblea Generale dell’Ecosocc fissata a fine settembre in Camerun e una partecipazione del presidente dell’Ecosocc alla Plenaria che il Comitato economico e sociale europeo organizzerà a Bruxelles a fine dicembre. Come dice il proverbio, se sono rose fioriranno…
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