Economia
La social boat che dimostra come l’impresa sociale sia più forte di ogni tempesta
Sulle onde di un inclemente mare forza sei, si sono snodati i 5 giorni della seconda edizione del Boat Camp 2017, organizzato da Fondazione Acra e Consorzio Cooperativo Cgm, che ha visto 400 partecipanti, 8 workshop (di cui 5 in inglese) e 50 speaker. Ma soprattutto la nascita di una vera community
«Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano». La frase di Luis Sepùlveda campeggia sul sito del Social Enterprice Boat Camp 2017 la seconda edizione della crociera per imprenditori sociali Civitavecchia-Barcellona-Civitavecchia, organizzata da Fondazione Acra e Gruppo Cooperativo CGM.
Ma un viaggio riserva anche soprese e ostacoli. E quella di quest’anno è stata un’esperienza che ha rischiato seriamente di naufragare. Mauro Berruto CEO della Scuola Holden ed ex allenatore della nazionale italiana di pallavolo, ha aperto i lavori con un discorso. Tra le tante citazioni c’erano l’Odissea e le vicende di Ulisse. Parole cui ha risposto Poseidone in persona.
La nave della Grimaldi Lines per 25 ore ha dovuto infatti affrontare di prua le onde di un Mediterraneo in burrasca per raggiungere le coste spagnole. Eppure, proprio mentre buona parte dei 400 ospiti era alle prese con la nausea, ricalcando in qualche modo l’escursus omerico, la Social Boat Camp ha regito ed è decollata.
Tra una pastiglia contro il mal di mare e l'altra si è creata squadra, sono nate relazioni, si è fatta rete. «Si è venuta a creare una vera community con dentro operatori, finanziatori, investitori e una dimensione internazionale. L'esito è la generazione di un impatto che è soprattutto culturale. È questa l'idea del boat. Il viaggio crea legami che un evento residenziale non riesce a generare», sottolinea Stefano Granata, presidente del Gruppo Cooperativo CGM, «anche nonostante o forse grazie ad imprevisti come quelli di questi giorni», aggiunge ridendo.
Interi panel sarebbero saltati se non fosse stato per la pervicacia e la passione dei relatori, come quello che raccoglieva gli interventi di Emma Togni, Marketing Executive di TechSoup Italia e Germana Lavagna fondatrice e presidente di Refugees Welcome Italia.
I 400 ragazzi arrivati da tutto il mondo a bordo della nave hanno, nonostante le avversità, dato vita a 8 workshop tematici (di cui 5 in lingua inglese) per approfondire le grandi sfide delle imprese sociali del futuro.
Conferenza all'Auditorium Campus de la Ciutadella, Universitat Pompeu Fabra
A guidarli oltre 50 speaker che hanno saputo indagare gli asset tematici che hanno costituito la vera novità di questo boat camp: dal tema dell'identità del branding, dall'importanza dello storytelling, dalla misurazione dell'impatto sociale al ruolo dell'innovazione e della tecnologia.
Tra loro un folto gruppo dal Centro di ricerca internazionale sugli ecosistemi di innovazione sociale promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano che, neanche a farlo apposta, si chiama Tiresia, come l'indovino cui si rivolgerà Odisseo per conoscere la sorte del suo viaggio verso Itaca.
A capitanarli il prof. Mario Calderini – professore di Social Innovation al Politecnico e vice Direttore dell’Alta Scuola Politecnica, nonché membro e delegato italiano della Task Force del G8 per la Social Impact Finance – secondo cui, «abbiamo bisogno di grandi “dimostratori di realtà”, di grandi esempi che dicano che “si può fare”, ognuno con le proprie specificità. E questa boat ne è la prova. Sono molto convinto che esiste un mondo finanziario attento al sociale, in Italia in particolare c’è una grossa quota di risparmio privato che non si muove con la sola filantropia ma che può essere ingaggiata con successo sul sociale con strumenti che mixino un impatto sociale misurabile e un piccolo rendimento economico. Ecco perché un evento come questo è fondamentale: dimostra in concreto quello che sto dicendo».
Sullo sfondo e al cuore del viaggio il tema dell'economia delle migrazioni. L'impresa sociale come punto di vista da cui affrontare il tema migrante. «In questo senso l'immigrazione può diventare un'opportunità che crea ricchezza, una ricchezza che è distribuita tra gli immigrati, ma anche tra la comunità che vanno ad abitare. Una ricchezza non solo economica, ma che si traduce in scambio culturale e condivisione», aggiunge Granata.
La stessa cosa che è avvenuta nella nave: un mix variegato di persone che ha avviato una rete di networking che non si esaurirà nei mesi a venire
Un modo anche per imparare, secondo il presidente di Cgm: «L'essere internazionali e guardare fuori, puntando come abbiamo fatto sull'Africa è un'esigenza che nasce dal bisogno, dal punto di vista dell'impresa sociale, di sperimentare il loro fermento e la loro adrenalina, anche culturale».
«Anche quest'anno ci siamo arricchiti con un forte carico di emozioni, di esperienze, trame e narrazioni giunte da diversi paesi e in particolare dall'Africa», ha rilanciato Elena Casolari amministratore delegato della Fondazione ACRA. «Quello che è emerso dalla quattro giorni è stata soprattutto la volontà degli imprenditori sociali di fare rete, di sentirsi parte di una comunità e di superare quell'isolamento cui spesso vanno incontro. Al di là dei contenuti e degli approfondimenti verticali strategici per le imprese è di nuovo cambiata la composizione del gruppo. Sono state diverse le imprese che hanno seguito i lavori dall'inizio alla fine. L'imprenditoria sociale sta diventando sempre più parte del loro DNA interno. Le imprese stanno cercando di fare outsourcing di innovazione sociale e di avvicinarsi al mondo dell'economia sociale. Questa sarà per il futuro la vera sfida».
Non resta che attendere la terza edizione.
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