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La Siria alla prova della pandemia

Gli ultimi dati diffusi dalla Johns Hopkins University of Medicine, che mappano in tempo reale la situazione della pandemia da Covid-19 nel mondo, parlano di 4718 casi confermati in Siria e 224 vittime. Tali dati, tuttavia, non tengono conto della situazione nelle aree che non sono sotto il controllo governativo e, secondo più voci, non rispecchierebbero il quadro reale della diffusione della pandemia

di Asmae Dachan

La guerra, il terrorismo, il braccio di ferro della geopolitica mondiale: sembrano non finire mai le sofferenze a cui è costretto da anni il popolo siriano, sofferenze a cui si è aggiunto, da diversi mesi, l’incubo pandemia. Il sistema sanitario del martoriato Paese mediorientale, a causa dei massicci e deliberati bombardamenti che hanno preso di mira ospedali, pronto soccorso, punti nascita e banche del sangue, è da tempo al collasso e la maggior parte della popolazione non ha accesso alle cure mediche. I ricoveri in Siria non sono gratuiti e arrivano a costare 300mila lire siriane, mentre lo stipendio di un dipendente statale parte da 50mila lire.

Gli ultimi dati diffusi dalla Johns Hopkins University of Medicine, che mappano in tempo reale la situazione della pandemia da Covid-19 nel mondo, parlano di 4718 casi confermati in Siria e 224 vittime. Tali dati, tuttavia, non tengono conto della situazione nelle aree che non sono sotto il controllo governativo e, secondo più voci, non rispecchierebbero il quadro reale della diffusione della pandemia. Secondo un’inchiesta di Syria Context, infatti, in Siria ci sarebbero tra i 60 e i 100mila casi. Tra le prove a sostegno di questa tesi ci sarebbero testimonianze di medici e necrologi raccolti in diverse città, ma anche immagini satellitari del cimitero di Najha, alle porte della capitale, che mostrerebbero la continua espansione dell’area. I fotogrammi, estrapolati utilizzando un modello creato dell'Imperial College di Londra per mappare la trasmissione del coronavirus, mostrerebbero il notevole e rapido ampliamento della zona cimiteriale.

Le Nazioni Unite hanno affermato che, pur avendo diverse riserve sui dati forniti dal governo di Damasco, non possono confermare o verificare questi dati. Una conferma arriverebbe invece dall’ong britannica World Vision – Syria Crisis Response, che parlerebbe di almeno 100 nuovi casi al giorno nel nord ovest della Siria, dove la stessa opera da tempo a sostegno della popolazione. In tutto il Paese, inoltre, mancano farmaci e dispositivi di protezione individuale. Nove anni di guerra hanno ridotto la popolazione siriana residente di circa la metà; se nel 2011 i siriani erano circa 22 milioni, i massicci bombardamenti e le violenze di terra, secondo le stime dell’Onu, hanno provocato 6,5 milioni di profughi che vivono nei Paesi limitrofi alla Siria e altrettanti sfollati interni, costretti nelle tendopoli e nelle baracche in condizioni di grave precarietà. Secondo un recente rapporto del Syrian Network for Human Rights, infatti, in 9 anni sono state distrutte 862 strutture mediche e 857 professionisti del settore sanitario sono stati uccisi. Impressionante anche il numero di medici arrestati, oltre 3.300.

La pandemia ha aggravato ancora di più la situazione. È impensabile, di fatto, chiedere alla popolazione, oltre 3 milioni di civili sfollati, ammassati senza diritti, né tutele nelle tendopoli dell’area di Idlib e della sua periferia, di praticare il distanziamento fisico, né tantomeno di lavare e igienizzare continuamente le mani, visto che in quelle aree non si ha accesso all’acqua potabile. La zona è considerata particolarmente vulnerabile perché è l’ultima sotto il controllo di ciò che resta dell’opposizione armata siriana, dove si sono infiltrati gruppi legati ad al Qaeda e ad altre formazioni estremiste. Secondo fonti locali, solo a Idlib sarebbero stati registrati 460 casi di Covid-19.

Da settimane, inoltre, l’area costiera è investita da incendi – presumibilmente di natura dolosa – che stanno devastando i campi, provocando la disperazione di agricoltori e allevatori che vedono andare in fiamme la loro unica fonte di sostentamento. Secondo i dati di Save The Children oltre l’80% della popolazione siriana vive sotto la soglia di povertà e questa situazione penalizza ulteriormente la popolazione rurale.

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