Migranti
La sindaca friulana: «I Cpr nei nostri territori sono bombe pronte a scoppiare»
Il Governo intende aumentare il numero dei Centri di permanenza per il rimpatrio. Ma chi ne ha già uno sul territorio, come Linda Tomasinsig, prima cittadina di Gradisca d'Isonzo, esprime scetticismo sulla loro efficacia. Il nodo da affrontare è un altro: le centinaia di persone che vivono per strada, in attesa di accoglienza
Negli scorsi giorni c’è stata una stretta del Governo sui flussi migratori. Uno dei punti più discussi del nuovo provvedimento è legato ai Centri di permanenza per i rimpatri – Cpr. L’esecutivo ha innalzato a 18 mesi (sei prorogabili per ulteriori 12) il limite per il trattenimento in queste strutture: il massimo consentito dall’Unione Europea. Ma non solo. Al Genio civile è stato affidato il compito di costruire nuovi Cpr – almeno uno in ogni Regione – oltre ai dieci esistenti (di cui attualmente solo nove sono funzionanti, dopo la chiusura a marzo di quello di Torino a seguito delle proteste dei reclusi). Questa decisione, di cui VITA ha già parlato in un articolo, ha sollevato molti malumori tra gli amministratori, dai sindaci ai governatori. Anche chi ha già un centro sul suo territorio, come Linda Tomasinsig, sindaca di Gradisca d’Isonzo, esprime delle grosse perplessità sull’efficacia di una misura come questa.
Sindaca, cosa significa avere nel proprio Comune un Cpr?
Significa tensione sociale, significa alzare il livello di preoccupazione dei cittadini nei confronti dei migranti, in particolar modo se le persone chiuse all’interno dei Cpr vengono dipinte come criminali, pregiudicate e autrici di gravissimi delitti. Avendo dimestichezza con le relazioni che vengono scritte dal garante nazionale delle persone private della libertà e da quello comunale e avendo cercato informazioni sulla provenienza dal carcere o meno dei migranti chiusi nel Cpr, posso dire francamente che dati precisi non ce n’è. Quello che è vero è che all’interno della struttura c’è una grandissima promiscuità tra coloro che vengono dai penitenziari e coloro che hanno visto scaduti i loro permessi, si sono ritrovati a permanere in Italia in maniera illegale e sono stati quindi colpiti da un provvedimento di espulsione. Ma questi ultimi sono davvero una piccolissima parte degli stranieri presenti illegalmente nel nostro Paese.
Qual è l’impatto del Cpr sul territorio?
Il Cpr è una bomba sul nostro territorio, pronta a scoppiare in ogni momento, anche per il livello di violenza che si genera all’interno per l’estrema carenza di regole da parte di chi gestisce le strutture. Non sono carceri, non ci sono guardie penitenziarie, c’è il personale di una cooperativa. In ogni momento possono esserci emergenze, anche quando si porta un pasto: la persona trattenuta può rifiutarlo, compiere gesti di autolesionismo, rompere tutto ciò che trova per provare a uscire o per testimoniare il suo disagio nel trovarsi in quella situazione. Abbiamo avuto dei suicidi all’interno del Cpr, ci sono state delle morti, alcune in condizioni ancora da chiarire, che potrebbero essere ricondotte anche all’abuso di psicofarmaci. La polizia è chiamata a tenere l’ordine, entra in assetto antisommossa. Tutto questo per rimpatriare da tutta Italia poco più di 3mila persone nel corso del 2022; ci sono dei costi economici, sociali e umani altissimi. Poi il governo propone questa soluzione in un momento in cui noi sindaci ci troviamo in difficoltà su un altro fronte.
I Cpr sono una risposta del tutto insufficiente rispetto alle problematiche che abbiamo attualmente, non solo a Lampedusa, ma anche qui da noi.
Linda Tomasinsig
Quale?
Dobbiamo affrontare la questione degli arrivi di persone migranti nel nostro Paese. Oltre a Lampedusa, c’è la rotta balcanica, che passa proprio in questa Regione. A Gradisca abbiamo quasi 600 persone in un centro di accoglienza per richiedenti asilo e in Friuli Venezia Giulia ci sono centinaia di persone per strada, che hanno chiesto asilo, stanno attendendo di farlo o addirittura hanno già il documento in mano. Da un lato il Governo coi Cpr dà una risposta securitaria – o fintamente securitaria –, dall’altro si lasciano persone a dormire e vivere per strada. In questo modo cresce il livello di intolleranza da parte della popolazione e si alimenta un disagio che poi diventa un vero e proprio rifiuto nei confronti dei migranti. I Cpr sono una risposta del tutto insufficiente rispetto alle problematiche che abbiamo attualmente, non solo a Lampedusa, ma anche qui da noi.
Gli esperti e gli attivisti denunciano delle vere e proprie violazioni dei diritti umani all’interno dei Cpr.
Le condizioni di trattenimento all’interno dei centri non sono degne di un Paese civile; è una situazione che io come sindaca sto denunciando da anni. Il Consiglio comunale di Gradisca d’Isonzo ha chiesto la chiusura del Cpr, così come la chiusura del centro di accoglienza, in favore di un modello più sostenibile per la nostra città, che coinvolga anche altri Comuni.
Accoglienza diffusa, quindi?
Si, che non significa diffondere insicurezza ovunque, ma rendere l’accoglienza più sostenibile. Non è possibile per noi da soli sostenere 600 migranti, in un territorio con 6mila cittadini. Il Comune è lasciato solo: i centri di accoglienza al loro interno non hanno tutti i servizi. Anzi, non ne hanno praticamente nessuno, oltre al vitto e l’alloggio. Tutti i servizi di supporto sono stati pian piano smantellati a partire dai decreti Sicurezza.
Quante persone attualmente sono chiuse nel Cpr di Gradisca?
Una novantina. Si parla di costruire nuovi Cpr, ma il nostro – per fortuna, direi – non è utilizzato al massimo della sua capienza. Non ci sono sufficienti forze dell’ordine, i sindacati di polizia sono fortemente contrari a questo centro anche perché non c’è personale per la sorveglianza, che deve essere richiamato da altre Regioni, con dei distacchi molto costosi, oppure richiamato da altri servizi sul territorio.
Non abbiamo bisogno di provvedimenti ideologici, ma di decidere concretamente cosa fare per le persone che attualmente sono per strada, senza assistenza.
Linda Tomasinsig
Si tratta quindi di un provvedimento difficile da attuare?
È una «misura bandiera» da parte del Governo Meloni, che però non risolverà il problema e porterà solamente all’aumento della tensione sociale e a un approccio sempre più difficile al fenomeno migratorio da parte degli italiani. Non è questo che ci aiuterà per il futuro. Non abbiamo bisogno di provvedimenti ideologici, ma di decidere concretamente cosa fare per le persone che attualmente sono per strada, senza assistenza. Non c’è nessuna misura per loro. E non mi vengano a dire che le metteranno nei Cpr, perché non è possibile: sono tutti migranti che hanno chiesto o chiederanno asilo nel nostro Paese.
In apertura, foto di una protesta fuori dal Cpr di Gradisca d’Isonzo
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