La solitudine del maratoneta Maurizio Borelli la conosce bene. Aveva vent’anni e si allenava quotidianamente nella corsa. Quaranta chilometri e oltre. Fino a che un incidente sul lavoro gli ha cambiato la vita: «Ero impiegato in una azienda metalmeccanica che produceva utensili. Un macchinario, privo di sistemi di sicurezza, si è guastato e mi ha amputato un arto inferiore. Oggi sono un grande invalido del lavoro». Da allora ne ha fatta di strada Borelli, fino a diventare il presidente della sezione provinciale Anmil di Modena (conta 11mila associati).
Un infortunio che le ha stravolto l’esistenza…
Era il 1989. Mi ci è voluto un anno prima di riaffacciarmi alla vita normale. Mesi per imparare a camminare con la protesi artificiale. Poi ho cominciato a guardarmi attorno: non potevo più fare il mestiere di prima. Sono stato fortunato: mi sono inserito in un istituto bancario che mi ha dato la possibilità di crescere professionalmente.
All’inizio che faceva?
Il commesso. Portavo la posta negli uffici, camminando dalla mattina alla sera. Era faticoso. In certi momenti doloroso. Ma ero determinato a guardare avanti, a rimettermi in gioco. Pensi che ho cominciato a lavorare il giorno dopo il mio matrimonio. E sì che questo lavoro, che pure mi ha dato molte soddisfazioni, non era nei miei progetti.
Quali erano?
Mio padre aveva un’aziendina metalmeccanica. Io volevo mettermi in proprio oppure aprire un’officina da elettrauto.
Quando è diventato volontario?
A neanche un anno dall’infortunio. Non conoscevo l’Anmil, ho scoperto che esisteva e sono andato ad associarmi. «Com’è possibile che a una persona di vent’anni accada quello che è capitato a me», mi chiedevo. Non volevo rassegnarmi, volevo impegnarmi perché non capitasse più. L’Anmil è uno strumento per portare avanti le pratiche, le rivendicazioni, le battaglie. Sono le persone a fare la differenza: le cose da sole non vengono. La forza dell’associazione è la notevole adesione degli infortunati. Ci permette di avere ascolto da parte delle istituzioni locali e nazionali.
All’inizio cosa faceva?
Tutto quello che serviva. Parlavo con i figli degli infortunati, partecipavo alle riunioni, aiutavo le famiglie nello svolgere le pratiche con l’Inail. Finché sono stato eletto nel consiglio provinciale, quindici anni fa. Poi sono entrato in quello nazionale e nel 2009 sono diventato presidente provinciale.
Un impegno non indifferente…
Beh sì, in effetti, ma non mi lamento. Esco dall’ufficio e tutti i giorni vado in sezione. È dura dopo 8, 9 ore di lavoro. Ma c’è la passione, la motivazione. Sono talmente tanti gli obiettivi che dobbiamo portare avanti… Anche mia moglie e i miei figli appoggiano la mia scelta.
Modena poi è una sezione attiva…
Facciamo tante iniziative. Lo scorso anno, per esempio, un concerto dedicato alla sicurezza sul lavoro. Poi un concorso sugli infortuni al femminile attraverso la musica. Abbiamo organizzato la mostra fotografica itinerante. Lavoriamo nella scuola.
Come vede i giovani?
Ricordo come ero io quando avevo 20 anni. Si ha meno la percezione del pericolo, si è sempre attivi, si crede sempre che non possa succederti niente di davvero grave. Per questo vogliamo raggiungere i giovani. Sono i lavoratori e i futuri imprenditori di domani. È importante diffondere la cultura della sicurezza. Occorre parlarne già alle superiori: la sicurezza dovrebbe essere una vera materia.
Per coinvolgerli cosa avete organizzato?
Nel solo 2010, abbiamo incontrato 1.400 studenti modenesi, con un progetto realizzato con Inail e con un centro formazione privato, Aeca, la Provincia e alcuni Comuni. È un’esperienza teatrale: si intitola “Laboriamo in sicurezza”, un progetto creato con il supporto di psicologi ed esperti del lavoro.
Come funziona?
Ci sono ambientazioni teatrali di differenti luoghi di lavoro: il cantiere, il laboratorio artigiano, l’officina, dove alcuni attori ricreano il contesto lavorativo fino all’infortunio. A quel punto gli studenti intervengono sulle dinamiche che hanno portato all’incidente, su chi ha sbagliato, su cosa non si deve fare. È teatro interattivo. Alla fine c’è la testimonianza di una persona giovane infortunata. Quando i ragazzi sentono questi racconti, non vola una mosca. Per questo intendiamo riproporre il laboratorio anche il prossimo anno.
Quali progetti state portando avanti?
Vogliamo erigere un monumento alle vittime del lavoro nella provincia di Modena e al contempo rafforzare il sostegno orientativo e psicologico agli infortunati e alle loro famiglie. Per aiutarli a reinserirsi nel mondo del lavoro. Da questo punto di vista l’atteggiamento fa la differenza.
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