Welfare
La sfida dell’Auser: contaminare la Cgil
«Aiuteremo il sindacato a costruire piattaforme più condivise e partecipate», spiega il presidente Michele Mangano
Elaborare un progetto per il Paese senza tener conto di una parte consistente della sua società civile è come guardare un film senza la colonna sonora. Qualcosa si capisce, certo, ma quel che manca sono le sfumature, le voci, i rumori.
È questa la ragione dell’incontro fra il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, e i delegati dell’assemblea nazionale Auser che si è svolto a Roma. Un appuntamento importante (intitolato «Confederalità e sussidiarietà per un progetto Paese») che Michele Mangano, presidente dell’associazione (300mila iscritti e 1.500 sedi in tutta Italia) spiega così: «Abbiamo inteso lanciare l’idea che, all’interno del suo percorso congressuale che si concretizzerà in un progetto per l’Italia, la Cgil apra un ragionamento con tutte le associazioni della società civile che in qualche misura fanno originario riferimento a questa organizzazione». Non solo l’Auser, quindi, ma anche per esempio il Sunia e Federconsumatori. Soggetti della società civile che vivono i diversi territori lavorando su fronti spesso profondamente connessi. Un ragionamento che dovrebbe concretizzarsi in un osservatorio permanente, un luogo nel quale confrontarsi in maniera sistematica e a tutto campo. «Uno strumento che aiuti a scambiarsi idee su argomenti non squisitamente sindacali. Dalla cittadinanza attiva alla promozione dei diversi diritti. Dobbiamo cominciare a fare rete per scambiarci le nuove pratiche e ragionare sulle crescenti forme di disagio. E fare rete», avverte Magano, «serve anche alla Cgil perché raccogliendo concretamente il bisogno attraverso le associazioni può costruire piattaforme più condivise e partecipate e quindi alla fine sostenute».
Una proposta che è insieme una sfida: per le associazioni (che devono dialogare mantenendo la loro autonomia) e per il sindacato, che potrebbe aprirsi e tener sistematico conto di quei soggetti portatori d’interessi che lavorano nelle comunità. «Si parla molto di nuova centralità del lavoro. Io direi che occorrerebbe ragionare al plurale: sono molti i lavori e non tutti garantiti. Allo stesso modo è cambiato anche il modo di fare impresa. Quella impegnata nel sociale non ha l’attenzione che invece viene riconosciuta alle aziende classiche». Cosa potrà derivare da questo confronto, è forse presto per dirlo. Si può però azzardare qualche ipotesi. «In questo appuntamento abbiamo voluto che i delegati regionali portassero il loro punto di vista e dessero voce alle iniziative che anche in modo congiunto i tre maggiori sindacati portano avanti assieme alle associazioni», conclude Mangano, «ripartire dai territori potrebbe voler dire riaprire un utile confronto anche a livello confederale».
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