Salute
La sfida del rinnovamento allinsegna della rete
Nel documento si torna a puntare sulla presa in carico globale, anche alla luce delle nuove patologie. La cooperazione è pronta a superare la frammentazione e a giocare da protagonista?
di Luca Zanfei
Saranno le urne a decidere del futuro del Piano nazionale per la salute mentale. Il testo recapitato in tutta fretta alla Conferenza Stato – Regioni ora dovrà fare i conti con un iter di approvazione che rischia di andare ben oltre il voto di aprile. Con esiti tutt?altro che scontati. La questione è capire cosa rimarrà, con un nuovo governo, di un testo che seppur non innovativo ha il merito di blindare la teoria basagliana dai tentativi di controriforma dell?allora governo Berlusconi. Il Piano scritto dalla commissione D?Alema è soprattutto una rilettura dei modelli di presa in carico dell?individuo dettati dalla 180, ma rivisti nell?ottica del mutevole disagio mentale. Spazio allora ai percorsi di inclusione impostati sul nuovo identikit del paziente psichiatrico e rinnovato impulso ai modelli di integrazione socio-sanitaria promossi dalla 328. Con un unico obiettivo: favorire forme di inclusione esterne al semplice sistema dei servizi sociali.
Un?emergenza sociale
Il Piano, dunque, chiama direttamente in causa le capacità di aggregazione del terzo settore e, in particolare, della cooperazione sociale. L?intento è quello di rispondere efficacemente all?allarme lanciato dall?Oms sull?esplosione delle nuove patologie psichiatriche, soprattutto tra i più giovani. Secondo l?Organizzazione oltre il 20% degli adolescenti – il 10% solo in Italia – è affetto da disturbi mentali destinati a trasformarsi in veri e propri handicap. In più, ben cinque patologie psichiatriche si collocano tra le prime 30 cause di mortalità prematura nel mondo.Ma i percorsi di cura sembrano a tutt?oggi segnare il passo: dopo anni di battaglie sulla riduzione del trattamento sanitario, ancora si assiste a un aumento esponenziale delle terapie farmacologiche, oltre il 280% per la fasce giovanili e il 75% tra gli adulti. In più, sottolinea l?Unasam – Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale quasi il 60% dei casi di disturbo psichico viene trattato presso comunità, residenze assistite o centri diurni.
Ripartire in fretta
«I fatti inducono a ripensare il sistema di comunità proprio in quell?ottica di cittadinanza e prossimità propria dalla legge 180», spiega Paola De Cesa, coordinatrice nazionale del gruppo Salute mentale di Federsolidarietà. «In questo la cooperazione sociale rappresenta lo strumento naturale proprio per le sue capacità di costruire reti di presa in carico globale dell?individuo».Quello psichiatrico, però, è ad oggi uno degli ambiti di intervento più delicati per il settore. La grande frammentarietà delle esperienze e dei modelli di inserimento delle cooperative di tipo B rende ancora incerto il quadro terapeutico. I dati dell?ultimo censimento Istat fotografano una realtà ancora poco strutturata.
Visione ospedaliera
La crescita degli inserimenti di circa mille unità rispetto al 2003, rilevata dall?istituto di statistica, ha interessato esclusivamente le regioni del Nord – Est del Paese, con decrementi di oltre i due punti percentuali nelle altre aree e soprattutto nel Mezzogiorno. Ovviamente l?Istat non tiene conto dei casi di doppia diagnosi, ma la sensazione non cambia. «La complessità del fenomeno psichiatrico ha frenato l?evoluzione delle politiche di inserimento e anche nelle regioni più avanzate, come il Veneto, non si è andati oltre le singole esperienze», ammette Alberto Leoni, presidente del consorzio Comunità solidali di Cgm. Le ragioni? «C?è ancora una concezione della cura psichiatrica legata al pubblico e all?aspetto sanitario. Finora il maggior successo si è avuto con le deospedalizzazione, per il resto si guarda alle piccole isole felici, che comunque scontano una difficoltà nel rispondere alla nuova domanda fattasi ormai sempre più pressante».
Sfida generazionale
Il cambiamento generazionale nei casi di disagio mentale sembra al momento essere la nuova sfida. La presenza sempre più massiccia di giovani con trascorsi e competenze più complesse pongono un problema di rimodulazione di percorsi di inserimento. «Oggi si tratta di formulare progetti individualizzati di inclusione sociale che dal punto di vista lavorativo superino la semplice dimensione occupazionale», spiega Luigi Bettoli, presidente Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia. «In tal senso si deve puntare su percorsi di vera responsabilizzazione dell?individuo e quindi su forme di autoimpresa e di graduale affrancamento dai meccanismi della borsa lavoro».
Operazione casa
Ma inclusione vuol dire anche altro. «La scommessa è quella di avviare percorsi vitali che prendano in considerazione tutti gli aspetti del quotidiano; quindi le relazioni, lo sport e soprattutto l?housing», spiega De Cesa. «Si deve superare la comunità e favorire la graduale acquisizione di una normale dinamica abitativa. Per far questo è necessario ampliare la rete, mettere in collegamento cooperative e realtà private che permettano di rendere sempre meno presente la rete di assistenza sociale».Nuove strategie che non possono prescindere da uno sforzo di rinnovamento da parte degli stessi enti pubblici. «La riforma dei Dsm deve partire dal completamento della fase di passaggio verso una vera politica della salute mentale», conclude Bettoli. «In tal senso non si può prescindere da una forte promozione della partecipazione di tutti gli attori coinvolti e da un ripensamento delle stesse professionalità oggi fin troppo rivolte all?assistenza istituzionale».
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