Formazione

La sfida? Dare fiato ai piccoli

In Europa i grandi gruppi bancari dal 1995 ad oggi hanno ridotto gli impieghi in prestiti del 5%. Una somma colossale che è stata spostata dall’economia reale alla finanza.

di Giorgio Vittadini

In un clima convulso, in cui le analisi giudiziarie si sovrappongono a quelle economiche e, più che mai, certa politica si arrocca su schieramenti precostituiti, il convegno che Fondazione per la Sussidiarietà ha organizzato a Milano dal titolo Per quale autonomia? Fondazioni e banche prossime e venture ha avuto, se non altro, il merito di costituire non una kermesse partitica o di fazione, ma un punto di dialogo tra personaggi autorevoli, operatori, e gente comune che, come me, si pone alcune domande.
è giusto, come certa stampa straniera sostiene, considerare il crack Parmalat come un fenomeno ?locale? italiano, in qualche modo favorito dalla nostra tradizione cattolica? E, ancora, come questo scandalo ci obbliga a riconsiderare il rapporto tra banche, imprese, investitori, operatori di Borsa e risparmiatori? Per rispondere alla prima domanda è sufficiente considerare alcuni fatti. Le esposizioni di Parmalat, le grandi società di revisione internazionale, le centrali rischi delle grandi banche internazionali certamente non sono situate in Italia, o in Paesi tradizionalmente cattolici.
Con questa semplice battuta si può però smascherare il mito dell?anomalia italiana, costituita da una finanza e da un mercato malati, mentre a livello mondiale il mercato si regge da solo. Questo è uno scandalo internazionale, che mette in luce problemi a livello internazionale. L?idea che la globalizzazione e il mercato siano in grado di autoregolarsi è vecchia e bugiarda. Questo è uno scandalo internazionale che discende dall?idea rozza, calvinista (se non addirittura in malafede), che il mercato e la competizione possano da soli raggiungere un punto di equilibrio virtuoso.

I piccoli, primi esclusi
L?Italia è un Paese europeo ed europeista, fa parte del Wto, di tutti i grandi organismi internazionali. Partecipare a organizzazioni internazionali in cui un interesse di breve periodo impedisce di costruire condizioni di mercato che ormai sono sovranazionali, non può portare a uno sviluppo armonico. Si deve avere il coraggio, a livello mondiale ma anche a livello europeo, di proporre un disegno di regole e di garanzie che non scarichi le proprie responsabilità sui singoli Stati.
Ma da dove partire per ridisegnare i rapporti tra i principali agenti dell?economia? L?esperienza di questi ultimi mesi ci insegna che il problema delle regole è consequenziale al problema dell?identità. Facciamo l?esempio di quel che avviene in Italia. Tradizionalmente, le banche italiane devono tutelare il risparmio e, quindi, a fronte di un finanziamento, hanno sempre chiesto ai piccoli imprenditori delle garanzie. Una sorta di rating di Basilea 2 ante litteram. Ma poi che cosa è successo? Che alcune grandi banche, accanto a questo estremo rigore con i piccoli, si sono trovate in sofferenza nei confronti dei grandi gruppi ai quali hanno concesso finanziamenti, spesso senza controllarne la situazione reale. Da questo approccio sono nati gli ultimi scandali italiani. In secondo luogo, è cresciuta in maniera impressionante la finanziarizzazione della banca. Basti pensare che in Europa i 37 maggiori gruppi bancari hanno ridotto dal 49,2 al 43,9% gli impieghi in prestiti tra il 1995 e il 2001. Ciò significa che alcune banche si sono messe a fare il lavoro dell?agente di Borsa, spostando i loro impieghi verso un mondo finanziario che ha mostrato però, soprattutto negli ultimi anni, tutti i suoi limiti. L?esempio migliore di questa tendenza è quello della bolla della new economy. Insomma, le regole non hanno tenuto perché i ruoli non erano più gli stessi e, spesso, addirittura indistinguibili.

La ripartenza? Il capitale umano
Ma esiste un punto di ripartenza in questa situazione di confusione e difficoltà? Io credo che la chiave di volta sia il ritorno alla produzione. Con la collaborazione di tutti, per le proprie competenze.
Quando si parla di produzione di qualità in Italia si è imparato a parlare di eccellenza di piccole e medie imprese, di valore assoluto, ma che devono crescere.
E come è possibile crescere se non c?è un?alleanza organica, virtuosa con il mondo bancario? Questo è un punto di riferimento per il cambiamento delle banche. È uno dei suoi fini sociali. Come si fa a evitare la macelleria sociale, che sempre si dice di voler evitare, se non c?è qualcosa che aiuta l?investimento sano, l?innovazione sana, l?investimento in capitale umano sano a crescere? Bisogna sapere che la piccola impresa non può vivere da sola, che ha bisogno della grande impresa, che ha bisogno di internazionalizzarsi, che necessita di banche di prossimità come dell?assistenza di grandi gruppi bancari, che ha bisogno di cambiare: se non c?è chi tenga conto di questo mondo da far crescere, non ci saranno controlli o regole che tengano.
presidente della Fondazione per la Sussidiarietà

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