Volontariato

La sfida al cancro, gioco di squadra

Come dirlo al paziente? Come accompagnarlo nel suo cammino? Parla Alberto Scanni, primario al Fatebenefratelli.

di Romano Asuni

Il medico che scopre il tumore di un paziente é un medico in crisi, un medico che sa ormai di dover venire allo scoperto, di dover spiegare. Spesso a uno sconosciuto, talvolta a una persona che conosce benissimo, quasi sempre a dei familiari increduli. E’ così, professor Scanni? “No, non é esattamente così. Un medico non può permettersi crisi emotive davanti a nulla, o non può permettersi di manifestarle, quanto meno. Un oncologo, poi. Il discorso é diverso: il medico avrà certamente bisogno di metabolizzare questa scoperta dolorosa, ma poi dovrà studiare subito l’itinerario professionale e umano da percorrere. Insieme al paziente, sia chiaro, insieme a lui. Senza la collaborazione del quale non si va da nessuna parte”. Il paziente dev’essere sempre informato? “Al paziente non si deve mai mentire” chiarisce Scanni. “Certo, non bisogna neppure traumatizzarlo con parole o gesti meno che delicati. Non gli si deve far mai mancare un’alternativa di speranza, ma deve anche avere, a mio avviso, una graduale coscienza delle proprie condizioni. Il paziente sono due occhi che guardano, é una mente tornata d’un conto lucidissima. E’ un’attesa di giorni o di ore che si sente arrivata al capolinea. Adesso saprà, e da quanto gli verrà detto dovrà “decidere”, se non lo ha già fatto, un nuovo percorso di vita, a breve o lunga scadenza, ma questo particolare sa già che non glielo riveleranno mai”. Questo é il momento più delicato? “Certo. Il medico comincia a guardare un uomo, non più soltanto la diagnosi e una prognosi, e il paziente si sente totalmente disarmato, nudo. Abbiamo il dovere, pur nel rispetto di una verità graduale, umanamente accettabile, di prendere per mano il paziente, dal momento della “rivelazione” in poi, e accompagnarlo in un percorso nel quale non si senta mai solo e mai privo di speranze. Mai soprattutto un ammalato o un numero. E qui entra in funzione, ancora più di prima, quella che io chiamo “la squadra”…”. Ogni paziente del Dipartimento di oncologia all’ospedale Fatebenefratelli di Milano viene accompagnato in un “circolo virtuoso” di cui fanno parte medici, infermieri, personale d’assistenza, volontari, familiari educati al trattamento del paziente con appositi corsi. Che la prognosi sia fausta o infausta, che preveda un trattamento ospedaliero, domiciliare o in day hospital, il paziente non sarà mai solo, fino alla guarigione o all’ultimo momento. Una mano che ti accompagna e ti saluta, verso la vita o verso il commiato. Possibile? Possibile. Scanni la chiama “oncologia umana a tutto tondo” dove il paziente é il “signor” Taldeitali, i suoi familiari possono vederlo quando non é impegnato in terapie e se non ha familiari o amici che possano aiutarlo, troverà dentro e fuori dall’ospedale chi si occuperà di lui. “Ma prima bisogna fare un passo indietro, ancora al momento dell’impatto con la notizia. Io posso dire al paziente, con l’aria più rilassata del mondo: “Ci sarebbe un problemino”. Lui traduce subito: “Io ho un cancro”. E non c’é rassicurazione, sorriso o mano sulla spalla che attenui l’angoscia e lo stress di quei momenti. Ma io non posso consentirmi che duri troppo: ho bisogno di un paziente attivo, per quanto le sue condizioni glielo consentono, che collabori, che abbia soprattutto una grande voglia di guarire, che é fondamentale”. Ed ecco “la squadra”: ogni medico, ogni infermiere, ogni assistente volontario che da quel momento entrerà in contatto con il paziente dovrà farlo con lo stesso approccio, linguaggio, atteggiamento. Il paziente deve sentirsi accompagnato e rassicurato nei fatti, non soltanto con le parole, in ogni momento. In questo, Scanni e l’Oncologia del Fatebenefratelli hanno trovato un supporto invidiabile nell’associazione Progetto Oncologia Uman.A, una onlus per l’assistenza al malato. In reparto, in day hospital, a casa di persone sole o poco assistite, volontari, infermieri, anche medici, rompono l’isolamento che il malato é spesso costretto a subire e che ne pregiudica talvolta anche la volontà. Ma c’é qualcosa di più, l’Hospice. E’ nato da un’esigenza, contribuire a coprire il fabbisogno dei 150 posti letto necessari sul territorio milanese, per seguire, curare, vegliare chi non può, per i motivi più diversi, essere assistito a casa, anche periodicamente. La prima tranche esiste già, é al terzo piano della divisione di Oncologia del Fatebenefratelli: sono otto (per ora) camere di degenza singole e ampie, dotate di un letto per il paziente al fianco del quale c’é quello per un familiare che lo assisterà durante la notte. La stanza é personalizzata, come a riproporre un ambiente domestico, con servizi igienici autonomi. E’ un dono dell’Associazione Progetto Oncologia Uman.A al Fatebenefratelli. L’utilizzo di queste strutture é del tutto gratuito, previsto nei piani assistenziali della Regione Lombardia. “Quando parlo di “oncologia umana a tutto tondo” intendo questo”, conclude Scanni. “Il paziente in oncologia non é un paziente qualsiasi, é “il” paziente. Se da un punto di vista clinica dobbiamo fare il massimo, da un punto di vista umano e solidale dobbiamo fare anche di più. E io credo, profondamente credo, che tante “squadre” come le nostre, con il contributo essenziale del volontariato, possano davvero trasformare il percorso oncologico di molti pazienti in un sereno e cosciente itinerario. Nessuno può dire preventivamente se il cammino sarà verso la vita o il commiato, ma come sarà dipende da noi”.


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