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La seconda “Rivoluzione della dignità”

La collaboratrice di Vita a Tunisi racconta la riprese delle proteste che diedero il via alle primavere arabe. Come nel 2010, dopo il suicidio di un giovane, è montata la protesta che partendo dalle piazze di Kasserine ha velocemente contagiato tutte le altre città

di Giada Frana

Tunisi – Quello che sta succedendo in Tunisia in questi ultimi giorni, sembra un déjà vu di ciò che accadde nel 2010, quando il Paese si sollevò chiedendo libertà, lavoro e dignità nazionale, riuscendo a mandare via il presidente Zine El Abidine Ben Alì.

Una seconda “Rivoluzione della dignità”? Diversi tunisini sul web affermano che si tratta del proseguimento della prima, incompiuta e tradita, in quanto le attese del popolo, e soprattutto di quei giovani che non chiedevano altro che di vivere dignitosamente, non sono state realizzate. Il paragone tra Ridha Yahyaoui, il 26enne laureato disoccupato morto fulminato dopo essere salito sabato scorso su un palo della luce in segno di protesta a Kasserine e Mohamed Bouazizi viene spontaneo.

Ridha è diventato il “martire della disoccupazione”, simbolo di tutti quei giovani disoccupati di cui il governo sembra essersi dimenticato da tempo. Cresciuto in uno dei quartieri più svantaggiati di Kasserine, El Karma, sabato mattina aveva scoperto che il suo nome era stato cancellato dalla lista di assunzione nella funzione pubblica e la voce che la stessa fosse stata truccata si faceva sempre più forte. Ridha ha provato a chiedere spiegazioni alla sede del governatorato, senza ottenere risposta, anzi, venendo cacciato dalla stessa. Verso mezzogiorno, ha deciso allora di salire su un palo della luce, minacciando di suicidarsi e morendo elettrizzato.

La sua morte ha innescato tutta una serie di proteste, represse dalla polizia, che man mano si sono allargate a macchia d'olio ad altre città della Tunisia, sollevatesi in segno di solidarietà: Jendouba, Kebilli, Sidi Bouzid, Béja, Mdhilla, Redeyef, Sfax, Siliana, Gafsa, Gabes, Sousse, Sbeitla, Meknessi, Menzel Bouzayen, fino a Tunisi. Non è un caso che tutto sia partito da Kasserine, la stessa città che nel 2010 i ribellò al dittatore e al sistema tunisino insieme a Sidi Bouzid, entrambe in regioni interne e dimenticate dal governo sin dai tempi dell'Indipendenza. Un sistema che, dal post rivoluzione ad oggi, non è cambiato granché: ne è prova la corruzione dilagante con cui ogni cittadino ha a che fare, sin nella sua quotidianità, dove la “rachoua”, la “mazzetta”, è ben nota.

Una corruzione che in questi cinque anni, invece che diminuire, è visibilmente aumentata: secondo Transparency International, nel 2013 450 milioni di dinari sarebbero finiti in mazzette; mentre un recente studio dell'Associazione Tunisina dei controllori pubblici (Atcp) riporta che il 27% dei tunisini interpellati avrebbe ammesso di aver pagato delle mazzette l'anno precedente, soprattutto per velocizzare le pratiche burocratiche.

A ciò si aggiunge la proposta della legge di “riconciliazione nazionale” avanzata dal governo a luglio e che aveva provocato delle proteste in tutto il paese e la nascita del movimento “Menich Msemah”, “Io non perdono”. La legge proponeva un'amnistia per gli uomini d'affari che hanno commesso dei crimini economici e finanziari sotto Ben Alì e la Troika, il governo di coalizione che ha governato il Paese dal 2012 al 2014, con l'obiettivo di rilanciare in questo modo l'economia tunisina. Il non cambiamento lo dimostra anche il fatto che il 14 gennaio, festa nazionale della rivoluzione (giorno in cui Ben Alì lasciò la Tunisia, ndr), i giovani erano di nuovo in piazza a gridare “Choghel, horria e karama wataniyya”, “Lavoro, libertà e dignità nazionale”, gli stessi slogan che nel 2010 accompagnarono le proteste della Rivoluzione della dignità.

La situazione non è delle migliori: un'economia stagnante, messa in ginocchio anche dai tre attentati che hanno colpito il Paese lo scorso anno (Bardo a marzo, Sousse a giugno e Tunisi centro a novembre) che ha fatto sì che il turismo andasse a picco e diversi investitori stranieri lasciassero il Paese; disoccupazione al 15% a livello nazionale, 32% per i giovani laureati, più del 50% nelle regioni svantaggiate; debito pubblico passato da 25 miliardi a più di 51.

Dal 1 gennaio 2011 ad oggi si sono inoltre registrati 1.520 suicidi o tentativi di suicidio; il 2015 è l'anno con il numero più alto, 466, 36 casi nel mese di novembre, soprattutto nella fascia di età 26/35 anni, mentre un altro triste record tunisino riguarda il numero dei foreign fighters che si sono uniti al cosiddetto Stato Islamico, più di 3.000. I giovani che in questi giorni hanno fatto sentire la loro voce riappropriandosi dello spazio pubblico, oltre all'opportunità di poter lavorare per costruirsi un avvenire migliore, chiedono trasparenza, regole uguali per tutti e la riduzione delle disparità regionali così fortemente sentite.

Come riportato dal sito di informazione Inkyfada, i numeri di Kasserine parlano chiaro: 26,2% il tasso di disoccupazione contro il 17,6% di media nazionale; 27% di accessibilità all'acqua potabile contro il 56% nazionale; 4% l'abbandono scolare, mentre nel governatorato Ariana tocca solo lo 0,3%; 32% il tasso di analfabetismo, 20% in più di Tunisi; 23,6% la mortalità infantile, contro il 17,8% nazionale; 0,16 l'indice di sviluppo, quando la media nazionale è dello 0,76. Questi numeri aiutano a capire come alla base delle proteste ci sia una situazione economico – sociale diventata ormai insostenibile.

E se il governo ha reagito promettendo la creazione di 5.000 nuovi posti di lavoro per la città – notizia poi smentita: si è trattato di regolarizzazione di lavori precari già esistenti – ed altri accorgimenti poco credibili, 33 ong locali, in un documento apparso sul sito Euromedrights oltre a sostenere il diritto al lavoro e condannare le violenze (ci sono stati saccheggi in diverse città, e vi è il sospetto di infiltrazioni da parte di esterni per destabilizzare il Paese nella morsa della violenza e del terrore), chiedono al governo di adottare un modello economico che riduca le disparità regionali e le ineguaglianze sociali, una vera democrazia partecipativa locale, una decentralizzazione del potere e delle strutture socio-economiche conformi alla nuova Costituzione. Intanto il governo, per cercare di tenere sotto controllo la situazione, da venerdì sera ha dichiarato il coprifuoco su tutto il territorio nazionale, dalle 20 alle 5, e il Presidente Essebsi, in un discorso alla nazione trasmesso alla tv tunisina – che secondo alcuni ricorda il discorso di Ben Alì al popolo tunisino per calmare le acque la sera del 13 gennaio 2011 -, ha voluto da una parte sottolineare la comprensione delle rivendicazioni dei giovani, dall'altro ha condannato gli atti di vandalismo perpetuati.

Essebsi ha inoltre accusato alcuni partiti politici di gettare benzina sul fuoco e chiesto al governo di trovare delle soluzioni efficaci per risolvere il problema della disoccupazione, sottolineando che la Tunisia non si piegherà e niente potrà rimettere in discussione la sua stabilità. Resta da vedere se a queste parole seguiranno atti concreti per risolvere davvero il malcontento dei giovani tunisini, attraverso politiche di sviluppo mirate e ben pianificate.

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