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La seconda generazione, uno sguardo spalancato sul futuro
Yalla Italia/ Editoriale. L'anno che verrà si annuncia denso di commemorazioni del 68 e di quanto ne è seguito. Prevarranno la nostalgia dei reduci o le prese di distanza dei dissociati?
di Paolo Branca
L’anno che verrà si annuncia denso di commemorazioni del 68 e di quanto ne è seguito. Difficile prevedere se prevarranno la nostalgia dei reduci o le prese di distanza dei dissociati.
Storia e storiografia raramente combaciano, specie quando gli eventi si sono caricati di valori simbolici che ne hanno dilatato a dismisura la portata, fino all?idealizzazione o alla mitizzazione.
Impegnati come saremo a dividerci in celebratori o denigratori di quell?ormai lontana contestazione, potremmo finire per non accorgerci che la vita è andata avanti, incurante delle nostre polemiche. E siccome la vita è un processo di costante rigenerazione, rischieremmo di sottovalutare o di ignorare del tutto che qualcun altro sta, a suo modo s?intende, ripercorrendo gli stessi cammini in un mondo nel quale non ci riconosciamo più, ma che è pur sempre lo stesso, con adulti (che ora siamo noi) che non capiscono più i giovani e finiscono sempre col dire, più o meno, «ai miei tempi?» per completare la frase con qualche esempio finalizzato a dimostrare che tutto va a rotoli, che non c?è più religione e via di questo passo?
Le nuove generazioni
Alla faccia delle nostre liquidatorie e sbrigative considerazioni, le nuove generazioni stanno negoziando quotidianamente la propria indipendenza e mettendo le basi del nostro futuro.
Paradossalmente lo stanno facendo soprattutto quelle a cui daremmo istintivamente e sbrigativamente minore importanza: sì, proprio quei figli degli immigrati che ci ostiniamo a ritenere marginali, residuali, ?sfigati? per definizione.
Figli di un dio minore, parenti poveri di un?Italia preoccupata di quanto va restringendosi la coperta del suo improvviso benessere, già in crisi dopo i beati ma troppo rapidi decenni del boom economico e dell?edonismo reaganiano, terrorizzata dai sinistri scricchiolii del welfare che fanno da sottofondo ai ben più sonori cedimenti della finanza creativa, nostrana o globalizzata che sia.
Qualcosa in cui sperare
Eppure è proprio tra loro che si celano le più fresche energie su cui potrà contare il nostro comune futuro.
Semplicemente perché hanno qualcosa in cui sperare. Il loro svantaggio iniziale è la molla che li spinge a non addormentarsi sugli allori, la loro diversità alimenta domande che faremmo bene a condividere, perché ci riguardano più di quanto possiamo immaginare.
Mutatis mutandis, mi ricordano le prime esperienze dei gruppi giovanili che uscivano dalle parrocchie ancora arroccate sulla rigida divisione tra oratori maschili e femminili.
I loro genitori, come i nostri quarant?anni fa, li vedono con qualche apprensione risucchiati da ambienti di socializzazione non privi di qualche elemento problematico: non solo la promiscuità, ma anche la disinvoltura nei rapporti fra differenti generazioni, il rischio di un impegno che potrebbe sottrarre tempo ed energie allo studio o alla carriera, persino una concezione di famiglia troppo aperta al viavai degli amici e alla frequenza degli impegni fuori casa che mette alla prova la solidità dei rapporti di coppia e le cure dovute ai figli.
La solita generosità un po? incosciente dei giovani che si confronta con i più limitati e realistici confini di una vita ?borghese?.
Insieme, per il nostro futuro
Che ne sarà di tutto questo? Finiranno anche loro per arenarsi nelle sabbie delle convenienze di quelli che ce l?hanno fatta?
Quanti invece si perderanno, cammin facendo, nelle sacche dell?antagonismo senza sbocco di periferie da noi ancora poco visibili, ma ben delineate e di quando in quando traboccanti di malessere in altri Paesi europei?
Ascoltare oggi le loro proiezioni può essere utile per capire quel che li attende? pardon, quel che ci attende. Il nostro futuro sarà infatti figlio di quel che sapremo fare da subito e insieme.
Il resto è pura accademia.
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