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La Sea Watch non sbarcherà i naufraghi in Libia

La risposta alla cosiddetta guardia costiera Libica pubblicata sui social con cui la Ong tedesca alla luce dei trattati internazionali spiega perché non farà sbarcare le 52 persone soccorse in Libia

di Alessandro Puglia

La Sea Watch non farà sbarcare i 53 migranti soccorsi nella giornata di ieri in Libia. A comunicarlo è la stessa Ong tedesca che ha reso pubblico il carteggio via e-mail con la guardia costiera di Tripoli che, come si legge, chiede di veicolare il messaggio ai colleghi italiani per “problemi di connessione a Internet”. La federazione delle chiese evangeliche in Italia: "Come cristiani non possiamo voltarci dall'altra parte".


«La Sea Watch non sbarcherà i naufraghi in Libia. Tripoli non è un porto sicuro. Riportare coattivamente le persone soccorse in un Paese in guerra, farle imprigionare e torturare è un crimine. È vergognoso che l'Italia promuova queste atrocità e che i governi UE ne siano complici», scrive la Ong che spiega come alla luce dei trattati internazionali i migranti debbano necessariamente sbarcare in un porto sicuro.

«Far tornare i migranti in Libia significherebbe portare le persone salvate nei campi di detenzione, nella totale assenza dei diritti umani, esposte a trattamenti inumani e degradanti, sottoposti nuovamente al traffico di essere umani, a torture, lavori forzati e abusi sessuali», scrive la Sea Watch che menziona il report UNSMIL delle Nazioni Unite pubblicato a dicembre 2018.

«Le stesse conclusioni – aggiunge le Ong nella mail inviata alle autorità libiche e italiane – sono state riconosciute di recente da diversi tribunali italiani: (Ragusa, 16 aprile 2018 e 11 maggio 2018, Palermo 13 giugno e 14 ottobre 2018 e Trapani 3 giugno 2019)»

La Libia non può essere considerato un porto sicuro specialmente in questo momento dove da mesi il paese è in conflitto. La Ong tedesca chiede quindi un’opzione per poter sbarcare i migranti in un porto che garantisca la sicurezza dei naufraghi senza prolungare la loro permanenza in mare.

Ad esprimere vicinanza all'equipaggio della Sea Watch in queste ore è la federazione delle Chiese evangeliche in Italia: «Condividiamo la scelta di Sea Watch di non riportare in Libia i migranti soccorsi e salvati nel Mediterraneo – ha dichiarato Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope – Programma rifugiati e migranti della Fcei – per la semplice ragione che in Libia non c'è alcun porto sicuro. Lo attesta l'Alto Commissariato per i rifugiati dell'ONU e lo confermano le cicatrici sui testimoni che arrivano a raccontarci l'inferno libico. Le persone che abbiamo incontrato e accolto in questi anni – continua Naso – descrivono un paese in cui si pratica sistematicamente la tortura, un paese in guerra, costellato di centri di raccolta e detenzione in cui sono negati fondamentali diritti umani.
Di fronte a questa tragedia, come cristiani non possiamo voltarci dall'altra parte e per questo solidarizziamo con chi continua a praticare accoglienza e solidarietà. Lo facciamo insieme a tante chiese protestanti europee – ad esempio la Chiesa evangelica tedesca che proprio nei giorni scorsi ha visitato l'equipaggio della Sea Watch nel porto di Licata – che insieme a noi sostengono i nuovi samaritani che, di fronte a persone ferite e perseguitate, non proseguono sulla loro strada ma, evangelicamente, le soccorrono e se ne fanno carico».

La Sea Watch aveva soccorso i 52 migranti nella giornata di ieri mercoledì 12 giugno a circa 47 miglia a largo di Zawiya dopo il fondamentale avvistamento dell’imbarcazione da parte dell’aereo di ricognizione Colibri.

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