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La Sea Watch 3 oggi è lo specchio dell’Occidente
«Quella nave ci rappresenta a tutto tondo. Da un lato la nostra civiltà, fondata sull'accoglienza del diverso, rappresentata dagli operatori a bordo. Dall'altra quello che stiamo diventando, plastificando in questo assurdo blocco. Dobbiamo decidere cosa vogliamo essere». L'intervista al deputato radicale Riccardo Magi, che è stato a bordo dell'imbarcazione
«Sono sulla Sea Watch 3, qui i migranti ospiti della nave sono preoccupati perché non hanno potuto avvisare i loro familiari che sono in salvo, sperano di attraccare quanto prima perché fa freddo». Così scriveva Riccardo Magi, deputato di Più Europa e già segretario dei radicali.
Era il 27 gennaio. Ma le cose non sembrano essere cambiate. Rimane il niet del Governo italiano allo sbarco a meno che non si tratti solo di una tappa per poi aprire un coridoio per l'Olanda di cui la nave batte bandiera. Ma dall'Olanda sottolineano di non avere obblighi giuridici e che se dovessero accettare i profughi lo farebbero esclusivamente come gesto umanitario. Uno stallo da cui non si capisce come uscire e che va a allungare la lista degli episodi simili. Ne abbiamo parlato direttamente con Magi.
Deputato, qual è la situazione a bordo?
È una situazione critica. Ci sono 50 persone che da più di 10 giorni sono in navigazione, in mare agitato. Si trovano ora in una condizione di fermo, di arresto mi verrebbe da dire, e vivono forte disagio. Per poter stare al chiuso sono ammassati uno sull'altro in uno spazio di venticinque metri quadri, con un unico bagno chimico che è naturalmente insufficiente. Questo già sarebbe un trattamento inumano cui va aggiunto che provengono dall'inferno, dalla Libia. Perosone che sono state in Libia da un minimo di un anno fino a tre anni, in detenzione, subendo torture e violenze reiterate di cui portano i segni sia fisici che psicologici.
Ora la situazione non sembra risolversi. Non si sa quanto staranno ancora in mare e quando ci sarà uno sblocco risolutivo…
Quello che è inaccettabile è di tenere in ostaggio delle persone, usarle come grimaldello in una contrattazione politica tra Stati. Queste sono persone cui sono costantemente violati diritti sanciti dalla Costituzione. Sono trattati alla stregua di animali o merci. Devono scendere perché siano garantiti e rispettati dei diritti che valgono e devono valere per tutti. Tutte le altre burocrazie si possono tranquillamente espletare nel rispetto del diritto umano.
Qual è la strategia del Governo? Quale trattativa sta portando avanti?
Non c'è alcuna strategia. Questa modalità di procedere serve proprio a camuffare un assenza di strategia. L'unico scopo è elettorale. La tattica è, ogni volta che accade un fatto come questo, è mettere in scena un braccio di ferro con altri Stati o con l'Unione Europea, da un lato per nascondere l'incapacità di mettere in campo politiche vere e utili e dall'altro per lucrare un consenso elettorale che, a quanto pare, questa carta paga.
Le immagini dalla Sea Watch 2
Anche se sembrerebbe esserci stato un risveglio di chi non è d'accordo…
Si la reazione dei cittadini di Siracusa e la manifestazione romana di “Non siamo pesci” dimostrano che c'è una opposizione civile. Fa sempre piacere notare come questo avvenga soprattutto nelle città di mare, cioè di quelle persone che sanno cosa significa stare in mare.
Come opposizione in Parlamento cosa pensate di fare?
Quello che va assolutamente fatto è una Commissione di inchiesta sulle morti nel Mediterraneo, com,e chiediamo nell'appello di Luigi Manconi.
Perché è importante?
È sostanziale costruire un quadro chiaro e definito del fenomeno. Bisogna fare informazione. Raccontare i veri numeri di questo olocausto. È solo così che si può pensare di contrastare la narrazione “elettorale” dell'invasione. C'è troppa demagogia. Serve fare un punto in una sede formale e ufficiale. Senza dimenticare per altro tutto il mondo dell'accoglienza che funziona ma che non viene raccontata da nessuno.
Intanto Matteo Salvini è stato indagato. Le sembra una cosa sensata e utile?
È evidente che è una questione, quella dell'accoglienza, che non si può risolvere nelle procure. Siamo su un confine scivolosissimo. Rimane il fatto che deve anche essere possibile difendere i propri diritti quando li vede violati, anche da un Governo. Certamente non è quello il campo in cui si gioca la partita
E qual è il campo?
Culturale. Fare informazione è importante per fare cultura. Dobbiamo probabilmente ricordarci chi siamo. Scegliere quale faccia della medaglia Sea Watch vogliamo essere
In che senso?
La Sea Watch 3 è uno specchio. Da un lato c'è l'equipaggio, formato da persone di tante provenienze, che dimostra compostezza, misura e senso di responsabilità in una situazione del genere. Persone che riescono a resistere in una situazione del genere perché credono fermamente in qualcosa che alla radice della nostra cultura. Poi però c'è la Sea Watch come simbolo di una battaglia di retroguardia, basata sulla paura e sulla difesa, che in sostanza nega la nostra storia e i nostri valori. Dobbiamo raccontare bene queste due facce. E poi decidere cosa vogliamo essere.
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