Formazione

La scuola non è uguale per tutti

La prima rilevazione sull'apprendimento nelle primarie mostra che l'apprendimento dipende dall'istituto

di Benedetta Verrini

In Italia le possibilità di uno studente di apprendere non dipendono tanto da chi sia e da dove provenga, ma dalla scuola che frequenta. Di più: “La scuola primaria fa molto male il proprio dovere di compensare le differenze iniziali tra gli studenti, soprattutto nelle regioni del Sud”. A parlare è Piero Cipollone, presidente dell’Invalsi, l’Istituto che ha curato per il governo il primo Rapporto nazionale sull’apprendimento nella scuola, presentato oggi nell’ambito di una tavola rotonda presso l’Università Bicocca cui hanno partecipato, oltre a Giorgio Vittadini in veste di moderatore, anche Valentina Aprea (attuale presidente della Commissione Cultura alla Camera) e Giuseppe Fioroni (ex ministro dell’Istruzione, ora responsabile educazione per il Pd).

Il quadro che emerge dalla rilevazione – che rappresenta un traguardo rincorso per dieci anni da diversi governi e che ha l’ambizione di diventare, nei prossimi anni, un test universale sulla capacità della scuola pubblica italiana, dalla primaria fino al secondo ciclo, di realizzare programmi efficaci e di formare adeguatamente gli studenti – è a dir poco preoccupante.

I dati: divario Nord-Sud

La ricerca a campione (su 46mila studenti in tutta Italia), basata sugli apprendimenti di italiano e matematica nella seconda e nella quinta classe elementare, mostra un divario tra Nord e Sud del Paese di quasi sei punti percentuali in italiano per i “piccoli” della seconda, che si riduce a due punti in quinta. Proprio in uscita dalla scuola elementare, però, quasi il 40% degli studenti italiani ha difficoltà nella comprensione di un testo narrativo.

In matematica le risposte corrette sono state pari al 57,1%, ma l’indagine su singoli aspetti, ad esempio “spazio e figure”, mostra picchi di incomprensione pari al 56,1%.

Molto delicato il fronte degli alunni stranieri: i bambini di cittadinanza diversa da quella italiana già in seconda conseguono risultati molto inferiori rispetto a quelli ottenuti dai compagni italiani sia in matematica (5,6 punti in meno) sia – soprattutto – in italiano (10 punti in meno), divario che non si colma in quinta (rispettivamente 4,8 punti percentuali in meno in matematica e 7,2 in meno in italiano).

Piuttosto alta (e questa parte della rilevazione mostra una forma di “segregazione” delle scuole, come isole di eccellenza o di inefficienza) è l’elevata variabilità dei punteggi nelle prove di italiano e di matematica all’interno delle diverse aree territoriali. Nel Nord questa varianza è molto bassa (7,5% nelle prove di italiano in V elementare), ma tende a crescere nel Centro (8,7%) e ad esplodere nel Sud (25,2%). Se invece dell’italiano si controlla la varianza nei test di matematica di V elementare, il quadro è spaventoso: 9,3 al Nord; 18,3 al Centro; 37,1% al Sud.

Crolla il mito di una scuola pubblica universale

“Ciò significa che il nostro sistema scolastico è solo formalmente omogeneo, solo astrattamente garantisce un apprendimento omogeneo”, sottolinea Valentina Aprea. “In alcune aree del Paese si può essere più preparati a seconda della scuola che si frequenta: il mito della scuola pubblica come pilastro di formazione universale crolla”. Aprea ha rilevato la grande lacuna de Sud: “Il meridione arranca perché le scuole hanno il deserto attorno, non ci sono altri luoghi di compensazione, come musei, biblioteche, scambi culturali e soprattutto il tempo pieno, in grado di colmare il vuoto culturale che i bambini vivono al di fuori della struttura scolastica”.

Riguardo alle difficoltà dei piccoli stranieri, Aprea ha affermato che il problema “non va affrontato sul piano ideologico, con l’assioma dell’accoglienza cieca, ma come un problema legato agli apprendimenti. Dobbiamo investire sul nuovo capitale umano dell’Italia, questi futuri cittadini oggi sono svantaggiati”.

Dopo aver rilevato l’importanza che l’Invalsi abbia autonomia e risorse per “non essere un ente strumentale del ministero”, Giuseppe Fioroni ha sottolineato che “la scuola non ci esime dall’essere padri e madri. Bisogna abbandonare per sempre l’idea che l’agenzia educativa possa, da sola, rimediare allo sfascio delle famiglie e della società”. Sul divario Nord-Sud, Fioroni ha insistito sull’importanza che anche il Meridione possa attivare il tempo pieno, “perché dove si fa, i ragazzi vanno meglio rispetto a dove non c’è nulla”. Riguardo agli alunni stranieri, Fioroni ha poi rilevato che c’è un problema di risorse, non di cervelli. “Bisogna parlare di tetti, oppure bisogna prendere il coraggio per dire che l’alfabetizzazione, nella scuola primaria, va garantita davvero a tutti?”, ha sollevato l’ex ministro, sottolineando l’importanza di rilanciare la formazione degli insegnanti, il loro aggiornamento permanente, insieme a un investimento globale di risorse sul sistema scuola.


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