Famiglia

La scuola italiana? è povera e vecchia

Ricerche. Le diverse politiche europee per l’istruzione.

di Maurizio Regosa

Come studiano i minori europei? Ecco la fotografia dell?Unione a 27 scattata (per la prima volta) dal Centro di documentazione e analisi per l?infanzia e l?adolescenza di Firenze. Ogni Paese ha le sue strategie, ma manca una politica comunitaria dell?istruzione. Le lacune italiane? Pochi investimenti e pochi… bambini

Un?Europa a più velocità. Con politiche diversificate anche per quanto riguarda la famiglia e i minori: è questo lo stato dell?Unione tracciato dal quaderno I numeri europei – Infanzia e adolescenza in cifre, appena pubblicato dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l?infanzia e l?adolescenza. Si tratta della prima rilevazione comparativa dell?Ue a 27. Una fotografia organizzata in 14 aree tematiche che offre alcune conferme e qualche sorpresa.

Era noto, ad esempio, che i Paesi europei attribuiscono una percentuale di spesa differente all?istruzione: sicché non meraviglia constatare la forbice fra la Danimarca (che spende l?8,3% del Pil) e l?Italia (verso il fondo della classifica con il suo 4,7%). E nemmeno stupisce vedere che l?integrazione scolastica dei minori immigrati non procede su binari paralleli: se è vero che la maggior parte dei Paesi prevede il diritto all?istruzione per tutti i bambini in età di obbligo scolastico, indipendentemente dallo status di immigrati, è altrettanto vero che in alcune nazioni c?è l?obbligo di iscrivere i figli di irregolari, in altre esso è implicitamente riconosciuto, mentre altrove le scuole non sono obbligate ad accoglierli. Diverse anche le misure per organizzare l?accoglienza e l?inserimento di questi minori: qualcuno segue un modello integrato (collocandoli in classi ordinarie), altri preferiscono quello separato (cioè gli immigrati non seguono gli stessi corsi). Grande varietà anche per quanto concerne il sostegno per le lacune linguistiche e l?apprendimento, talvolta ottenuto riducendo il numero degli alunni per classe (avviene, o dovrebbe, anche in Italia come in Polonia, Slovacchia, Francia e Germania).

Manca però una comune politica educativa anche se il livello comunitario potrebbe costituire, come scrive Pierluigi Brombo, «un importante quadro di riferimento per permettere l?armonizzazione degli approcci indispensabile in un?Unione caratterizzata dalla libera circolazione delle persone». Armonizzazione tanto più necessaria se si pensa che proprio grazie ai minori immigrati (o di origine straniera) il Vecchio continente ha tamponato l?emorragia di popolazione minorile. Dopo 30 anni in cui denatalità e aumento della vita media avevano determinato un assottigliamento percentuale del numero dei minorenni, una significativa inversione di tendenza è culminata nel 2005, anno in cui la quota dei minorenni si è attestata al 20,5%. È una media: qualche Paese sta meglio, qualcuno – fra cui l?Italia (fanalino di coda) – peggio. Non c?è però alcun Paese europeo che abbia un numero medio pari a 2,1 figlio per donna, valore che consentirebbe la sostituzione di una generazione con quella successiva.
Per leggere e scaricare il quaderno:www.minori.it


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