Formazione
La scuola italiana è come la fattoria degli animali
Perchè valutare dirigenti, alunni, scuole e non gli insegnanti? Sono loro che fanno la differenza nella scuola e che possono compensare i limiti di situazioni familiari difficili. In un editoriale sul Corriere, la proposta di Associazione TreeLLLe
Caro direttore,
recentemente il Governo ha varato un regolamento (Dpr 80) per dare luogo, anche nel nostro Paese a un Sistema nazionale di valutazione per la scuola. Esso prevede che per il momento debbano essere valutate tre cose: le singole scuole, i loro presidi-dirigenti e – attraverso i test nazionali dell’Invalsi – gli apprendimenti degli studenti.
Manca qualcosa secondo voi? Dove si parla degli insegnanti? Da nessuna parte, naturalmente, per la nota opposizione sindacale. Se i ragazzi sono più o meno interessati e motivati all’apprendimento sembra che la responsabilità sia di altri: i dirigenti, gli ispettori, il sistema… allora perché perdere tempo a scoprire se i singoli insegnanti sanno fare il loro mestiere? Si dovrebbe però ricordare che sia i presidi-dirigenti delle scuole sia gli ispettori del futuro sistema nazionale di valutazione sono per legge reclutati fra i docenti. Non sarebbe allora più utile per prima cosa individuare gli insegnanti più apprezzati dalla comunità scolastica in cui operano e in seconda battuta scegliere fra questi chi dovrà dirigere le scuole e e chi dovrà valutarle? Non è forse giunto il momento – e le prime dichiarazioni del ministro Giannini ce lo fanno sperare – di lasciarci alle spalle quella allegra “fattoria degli animali” di orwelliana memoria che è la scuola italiana dove tutti sono uguali per definizione e di riconoscere e valorizzare quelli “più uguali” degli altri?
È ormai dimostrato che i risultati delle scuole possono differire molto tra loro anche se operano negli stessi ambienti socio-economici. Ciò significa che l’ambiente non è una condizione rigida che stabilisce preventivamente il destino di ogni studente: buoni insegnanti riescono a compensare almeno in parte i deficit che derivano da condizioni familiari difficili. Ciò nonostante da molti decenni si reclutano i presidi-dirigenti (sono 8mila, inamovibili una volta nominati) senza prima verificare sul campo le attitudini alla leadership. E si reclutano gli insegnanti per lo più con sanatorie di varia natura che privilegiano l’anzianità di servizio come supplenti senza alcuna valutazione sulla professionalità dimostrata.
A noi sembra irresponsabile quella società che non cura come dovrebbe i suoi educatori e non dà riconoscimenti di alcun genere a quelli notoriamente più apprezzati dalla comunità scolastica. In ogni scuola invece questi dovrebbero essere usati come modelli e leader pedagogici per aiutare gli altri a migliorare (specie i più inesperti). Va sottolineato che lo sviluppo professionale degli insegnanti è anche conseguenza della capacità della dirigenza di farli crescere in un ambiente di lavoro stimolante, collaborativo e con forte aspirazione al miglioramento continuo. In realtà ciò accade raramente e gli insegnanti sono per lo più lasciati soli, veri e propri autodidatti di fronte a una scuola di massa sempre più difficile da gestire. Tutte le ricerche dimostrano infatti che gli insegnanti chiedono a gran voce di avere un feedback sul loro operato sia da parte dei superiori che dei pari. Solo a queste condizioni la scuola potrà diventare una «comunità di apprendimento» per tutti. Anche per l’Ocse questi sono i problemi nodali da affrontare perché, come sostiene, «nessun sistema scolastico può essere migliore della qualità dei suoi insegnanti».
Attilio Oliva, Presidente Associazione TreeLLLe
L'articolo è pubblicato sul Corriere della Sera, 18 marzo 2014
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