Ecco che alla vigilia dell’inizio dell’anno scolastico, tornano le statistiche sulla presenza degli studenti con cittadinanza non italiana. E con i numeri, anche le notizie di alcuni genitori italiani che minacciano di ritirare i loro figli dalle classi dove ci sono troppi “stranieri”.
La stupidità è umana si sa, e il becero razzismo (di cui abbiamo visto così tante manifestazioni offensive dalla nomina del nuovo Ministro dell’Integrazione) pure, purtroppo. D’altra parte è vero che in Italia abbiamo assistito per anni ad una politica che ha latitato sulla questione del diritto di cittadinanza ai figli di migranti residenti nel nostro paese; lasciando spazio nella mente di molti, all’idea che la cittadinanza o meglio l’accesso a una serie di diritti che da quella cittadinanza derivano, dipendano ancora dal nome, religione o colore della pelle.
La normativa italiana ci mette lo zampino: definisce “alunni stranieri” tutti quelli senza cittadinanza italiana, mentre molti ragazzi sono in Italia o vanno all’asilo fin da quando sono arrivati nel nostro paese. Spesso Mohammed o Yue Yue parlano l’italiano meglio di Mattia e Chiara e sicuramente conoscono e “maneggiano” due lingue già da piccoli. Alla faccia di alcuni genitori italiani apprensivi (e razzisti) che vorrebbero far cambiar classe ai loro pargoli, preoccupati dell’altrui lentezza nell’apprendimento.
In un decennio le scuole italiane sono passate da 50.000 a 800.000 alunni (http://www.stranieriinitalia.it/attualita-istruzione._in_415_scuole_italiane_alunni_stranieri_piu_della_meta_16799.html) con cittadinanza non italiana. Studenti che dall’asilo all’università, seguono i giochi e le lezioni accanto ai nostri figli. Da “girogirotondo” all’ “Inferno” di Dante. Insomma le classi dei nostri figli sono cambiate. E per fortuna l’atteggiamento e il pregiudizio riportato da alcuni fatti di cronaca sopra citati non sono la norma; e anzi sono tanti gli italiani che credono che 800.000 ragazzi e ragazze che portano con sé anche tracce e vissuti di altre origini siano una risorsa.
Purtroppo però non è cambiato l’approccio: a me sembra che non si sia ancora affermata una scuola (e intendo l’istituzione scolastica) intesa come luogo non del conflitto ma dell’inclusione sociale e della partecipazione, per tutti gli studenti, sia quelli italiani che quelli nati in Italia ma non ancora cittadini italiani, come pure quelli appena arrivati nel nostro paese. Una scuola che fa degli studenti, alunni migliori e anche cittadini migliori.
Nati in Italia, nati all’estero, in Italia da anni, in Italia da poco? Che differenza fa? Sono tutti studenti di una scuola pubblica che deve garantire il diritto ad essere istruiti a tutti. Diritto e non concessione.
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