Formazione

La scuola del futuro? Stringe alleanze col mondo non profit

Obbligo fino ai 18 anni e alternanza scuola-lavoro anche nel sociale. Sono i nuovi pilastri dell’istruzione, cui manca un passaggio non da poco: i livelli essenziali.

di Benedetta Verrini

La nuova scuola disegnata dal ministro Letizia Moratti comincia a prendere una fisionomia precisa: l?obbligo scolastico diventa un più moderno ?diritto-dovere? e sale fino a 12 anni di studio; i percorsi dell?istruzione e della formazione avranno pari dignità e pari crediti formativi; il metodo didattico dell?alternanza scuola-lavoro coinvolgerà il mondo delle imprese e il non profit. Sono i pilastri dei due decreti legislativi presentati il 14 maggio al Consiglio dei ministri (in via preliminare, ora la parola passa alla Conferenza unificata Stato-Regioni), in attuazione della legge-delega 53/2003. Il primo decreto prevede che sia assicurato a tutti il diritto all?istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto si realizza nel primo ciclo del sistema dell?istruzione (scuola primaria + scuola secondaria di primo grado) e nel secondo ciclo (licei + istruzione e formazione professionale). Il secondo decreto disciplina invece la possibilità, per gli studenti che abbiano compiuto i 15 anni, di realizzare i corsi del secondo ciclo in alternanza scuola-lavoro. “Questo percorso formativo viene attuato sotto la responsabilità dell?istituzione scolastica e formativa”, ha spiegato il ministro Moratti, “per assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, di sperimentare le proprie vocazioni e attitudini ai fini di una scelta più consapevole rispetto ai percorsi successivi”. Le scuole, insomma, potranno stipulare convenzioni con enti, compresi quelli di ricerca, con il mondo del volontariato e le imprese per favorire l?apprendimento di conoscenze utili all?inserimento degli studenti nel mondo lavorativo. Allora, si parte? “Non proprio”, spiega Marco Bianchi, segretario regionale Cisl Scuola Lombardia, “perché queste due grandi cornici hanno bisogno di contenuti: manca la definizione dei livelli essenziali sulla base dei quali si dovrà costruire, da un lato, il sistema dei licei, con il decreto sul secondo ciclo di istruzione. Dall?altro, quei livelli essenziali serviranno anche alle Regioni per costruire il secondo braccio della scuola italiana, quello dell?istruzione e della formazione professionale”. Insomma, lo Stato dovrà dettare al più presto degli standard minimi, per dare uniformità al sistema-istruzione in tutta Italia. “Il passaggio delle competenze sull?istruzione alle Regioni lo ha stabilito la riforma del Titolo V della Costituzione, mentre la formazione professionale apparteneva loro già da 50 anni”, commenta Mario Mauro, responsabile scuola di FI, “bisogna rendersi conto che il nostro sistema educativo evolve naturalmente verso il federalismo dell?istruzione: in molti Stati europei, come la Germania, questo è già realtà, e le nostre Regioni ne sono più che coscienti. Non ho dubbi che possa essere pienamente realizzato dalla Lombardia alla Calabria”. Sul fronte dell?alternanza scuola-lavoro, poi, si gioca una grande sfida della riforma della scuola: quella di offrire ai ragazzi esperienze formative direttamente ?sul campo?. “Si tratta di un metodo didattico verso cui non abbiamo pregiudiziali”, dice Bianchi. “Certamente potrà essere utilizzato più ampiamente nell?ambito della formazione che nel sistema dei licei. Ciò che ci lascia perplessi è la libertà che il decreto lascia alle singole istituzioni scolastiche nella stesura delle convenzioni con il mondo del lavoro: non ci sono paletti, né quadri di riferimento, il tutto viene demandato all?iniziativa dei singoli istituti. E dal momento che i ragazzi dovranno essere seguiti da tutor sia nella scuola che nell?azienda, viene da chiedersi come queste figure verranno preparate e remunerate e quali incentivi avranno le aziende a seguire il percorso di un giovane studente, la cui presenza rappresenterà un impegno di responsabilità e di tempo”. In questo senso, la tradizione solidaristica che caratterizza il mondo del non profit potrebbe essere un importante elemento di ?attrazione? per le istituzioni scolastiche. “Di certo, per alcuni tipi di scuole, come le superiori a indirizzo psicopedagogico”, conferma Bianchi, “tutto il non profit socio-sanitario, educativo e dell?handicap può avere grande appeal e offrire opportunità di apprendimento”.


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