Formazione
La scuola come agenzia di cambiamento
La grande sfida oggi è “risignificare” il ruolo della scuola. Passare dall’idea che sia prettamente un'agenzia formativa a una visione di scuola come agenzia per il cambiamento. Qualche idea su come farlo
Il dibattito sulla crisi della Scuola ha assunto una tale ricorrenza nello spazio discorsivo, che sembra diventato una sorta di genere letterario. Simile, per certi versi, ad una stanca pièce teatrale, dove gli attori recitano con poca convinzione la propria parte. Semplificando, da una parte, si muovono gli innovatori liberal che, test PISA alla mano, invocano su Linkedin la necessità di fare tabula rasa della Scuola, soprattutto quella pubblica. Ci sono, poi, gli Anti-anti-innovatori, detestano gli innovatori liberal, reputano i test standardizzati un obbrobrio, sostengono fermamente di voler cambiare la scuola, hanno solide basi culturali, eppure sembrano essere più interessati alla polemica che al cambiamento. Infine, gli edu-con, i conservatori a oltranza, convinti che qualsivoglia proposta di cambiamento possa rappresentare un colpo mortale al sistema educativo, una ferita inferta alla Costituzione repubblicana.
Archetipi che si alimentano spesso di formule vaghe, più utili a catturare l’opinione pubblica – chi non ricorderà “Le tre I” oppure “La buona scuola” – che a rispondere al quesito sul perché la scuola viva una condizione di crisi strutturale pluridecennale. L’accendersi e spegnersi di queste schermaglie sovrasta la voce di chi l'innovazione educativa la pratica davvero ogni giorno tra tante difficoltà, nascondendo così l'elefante nella stanza: qual è la visione e, di conseguenza, la missione della Scuola. Quale ruolo sociale deve essere attribuito alla scuola? È davvero sorprendente che un Paese con una tradizione pedagogica profondamente innovativa (Maria Montessori, Mario Lodi, Bruno Ciari, Gianni Rodari, Alberto Manzi, Maria Luisa Bigiaretti ecc.) non riesca a ragionare di innovazione del sistema educativo, senza cadere nella staticità di posizioni discorsive di comodo.
Di non certo, non possiamo accontentarci dell’idea che la funzione sociale della scuola sia circoscritta al ruolo di agenzia formativa, il cui suo successo vada misurato rispetto alla capacità di accompagnare i giovani verso il lavoro. La grande sfida oggi è “risignificare” il ruolo della scuola. Passare dall’idea che la Scuola sia prettamente un'agenzia formativa a una visione di Scuola come agenzia per il cambiamento. Immaginando un sistema educativo che si faccia carico dei “propositi”, il proprio, in primo luogo, legato all’idea del cambiamento. I propositi degli studenti, aiutandoli a identificare il proprio talento e la propria vocazione attraverso esperienze significative. I propositi dei docenti nell'essere parte di un ambiente di apprendimento motivante ricevendo una remunerazione soddisfacente. I propositi dei genitori che si attendono una Scuola di qualità. I propositi della comunità educante che vuole dismettere i panni del samaritano che assiste amorevolmente l’ammalato e diventare parte di una visione olistica dell’esperienza scolastica.
La Scuola per il cambiamento dovrebbe sviluppare una visione educativa che punti alla rilevanza, aperta, sappia promuovere la creatività, la intersezionalità, l’apprendimento cooperativo, e sia disposta ad uscire da sé stessa come “spazio” perché l’apprendimento può avvenire in un parco, in una piazza, in un museo. Per far gemmare l’idea di Scuola come agenzia per il cambiamento, abbiamo bisogno di sviluppare un pensiero sistemico, in grado di superare la logica binaria conservazione/innovazione, di aprire spazi di co-creazione tra i diversi attori, di restituire centralità alle/agli studentesse/i. Smetterla di sciabordare vecchie e nuove competenze, bensì ragionare sui processi di apprendimento e, di conseguenza, su come possiamo supportare la carriera docente fornendo strumenti metodologici per rendere l’esperienza educativa più significativa. Nella scuola per il cambiamento, dovremmo definitivamente smontare la visione eurocentrica, quella delle “altre civiltà”, le storie degli altri, relegate nei margini, debbono diventare parte delle nostre storie, perché le giovani generazioni vivranno in un mondo sempre più interconnesso. Per perseguire questi obiettivi, è necessario che il dibattito sulla scuola esca dalla serrata dialettica tra innovatori e conservatori e possa coinvolgere la società, nel definire, prendendo a prestito il titolo di un recente rapporto UNESCO, un "nuovo contratto sociale per l'educazione". Un sistema educativo rilevante è un patrimonio per ciascuno di noi, per la società e soprattutto per le generazioni che verranno.
*direttore Ashoka Italia
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