“Sei un educatore prima che un allenatore”. Quando ho cominciato ad allenare i ragazzini all’oratorio (anno 2002) era questa la frase che più spesso mi ripetevano gli adulti del gruppo sportivo, quando dovevo prendere una decisione sulla squadra e non sapevo cosa fare. Un po’ mantra, un po’ un’idea da far capire a un ragazzo di diciotto anni che forse non ha il senso pieno di cosa stia facendo. Un paio di giorni fa la frase mi e’ ritornata in mente, quando ho letto quello che ha fatto Mauro Berruto, ct della Nazionale maschile di pallavolo, bronzo olimpico a Londra 2012. L’allenatore degli azzurri, in ritiro insieme ai suoi ragazzi a Rio de Janeiro per preparare le finali di World League, ha deciso di escludere con l’appoggio della Federazione quattro giocatori: il neocapitano Dragan Travica, Ivan Zaytsev, Giulio Sabbi e Luigi Randazzo. La ragione? Sono rientrati in ritardo in ritiro sabato sera. Una scelta difficile, come ha ammesso lo stesso ct, ma che ha una motivazione “semplice”, spiegata in un’intervista da Berruto a Repubblica. “Non hanno rispettato le regole. E lo hanno fatto deliberatamente”. “Le regole – ha poi spiegato l’allenatore- non sono l’esercizio di una leadership, ma quelle di un gruppo con un obiettivo comune”.
Una decisione, di cui più che discutere della sua correttezza o meno, dovrebbe far pensare chiunque faccia o voglia fare l’allenatore, o meglio l’educatore sportivo. Alla vigilia di una competizione importante saremmo disposti ad escludere quattro dei nostri ragazzi (o ragazze), soprattutto se capaci perche’ hanno infranto una delle regole del gruppo o si sono comportati male? E saremmo capaci di spiegargli che prima di danneggiare noi hanno “tradito” i loro compagni? A entrambe le domande, non sarei sicuro della risposta. Perche’ spesso nel nostro vocabolario “vittoria” viene prima di rispetto e regole.
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