Non profit

La sanità? Vada a lezione da don Gnocchi

Parla Giorgio Cosmacini:"Medicina, uguale tecnica più solidarietà. è una ricetta che molto più efficiente del clima competitivo che oggi domina".

di Sara De Carli

Ci sono gli oscurantisti e ci sono gli illuminati, o almeno così dicono. Ma il terreno su cui si misurano le luci e le ombre è piuttosto sconnesso, e la linea di demarcazione finisce per non avere niente a che vedere con la retta di una meridiana. Scienza ed etica, i due poli della questione, si allargano nei mille rivoli dei casi clinici particolari. I referendum sulla legge 40 portano alla ribalta un mondo, quello della sanità, che ogni giorno agisce su questo terreno. Un mondo vario, fatto di persone che si ispirano a ideali e a credo spesso divergenti, ma con una consapevolezza comune: che tecnica e carità, nella medicina, devono andare di pari passo. Ad affermarlo è un medico laico come Giorgio Cosmacini, professore di Storia della medicina all?università Vita e Salute del San Raffaele di Milano. E a sorpresa il modello illuminato che ci indica non è né un medico né un ricercatore, ma un sacerdote: don Carlo Gnocchi. Vita: Perché la figura di don Gnocchi è tanto importante per la medicina? Giorgio Cosmacini: Don Gnocchi era il padre spirituale all?Istituto Gonzaga: quando scoppiò la seconda guerra mondiale decise di seguire i suoi studenti, che vestiti da soldato andavano in guerra in Russia, in Grecia e in Albania. Quando la guerra finì, lui si accorse che per tanti bambini e ragazzi, mutilati dagli ordigni bellici, la guerra continuava. L?intuizione di don Gnocchi fu che l?Istituto nazionale per l?assistenza ai mutilati di guerra non bastava: lì si dava un?assistenza generica, ma quei ragazzi avevano bisogno di un?attenzione alla persona nella sua integrità, non solo fisica, ma sociale, formativa, occupazionale. Vita: Fu una rivoluzione? Cosmacini: Sì. Gli schemi del tempo erano quelli un po? obsoleti della carità indifferenziata: strutture gestite da religiosi che offrono una sorta di misericordia corporale. Penso a don Orione e al Cottolengo: opere meritorie, ma don Gnocchi ha l?intuizione che per realizzare il suo disegno non basta la carità, ci vuole la carità unita alla medicina, cioè a una scienza applicata che si occupi di ausili e di protesi, di meccanoterapia… Il modello di don Gnocchi diventa un modello nuovo, originale, precorritore dei tempi. Da un lato una carità indifferenziata, dall?altro una tecnomedicina senza carità: lui coniuga questi due modelli in un paradigma nuovo e vincente. Vita: Coniugare tecnica e carità: un programma ambizioso? Cosmacini: È l?essenza stessa della medicina. La medicina non è soltanto una scienza applicata, è un?attività che si esercita in un mondo di valori. L?oggetto della medicina non è l?oggetto delle sue scienze di base: è un soggetto. Ecco perché la medicina è di più delle sue scienze di base. La tecnica tende a oggettivare, ma la medicina non può prescindere dal patrimonio soggettivo del paziente: non a caso la biologia è una scienza universale, la medicina invece è fatta di casi clinici particolari, è biografia. Don Gnocchi ha capito che una concezione generale della medicina riabilitativa fallisce se non viene personalizzata, dando valore alla persona del paziente. E questa non è un?idea religiosa, è una cosa laica. Vita: Oggi questo cosa significa? Cosmacini: Il paradosso è che noi abbiamo una medicina sempre più scientifica e tecnica, sempre più produttiva, e tuttavia nei confronti di questa medicina si registra una crescente insoddisfazione. Perché se il valore del rapporto autentico tra due soggetti, il medico e il paziente, si interrompe, il paziente avverte che i suoi bisogni vengono disattesi e i suoi diritti non vengono tutelati. Bisogna riportare la barra al centro: la scienza e la tecnica come mezzo e l?uomo come fine: mettere al centro la persona e come corollario naturale curare il rapporto interpersonale. Da una medicalizzazione della società dobbiamo convertirci a una socializzazione della medicina. Vita: In questo quadro, qual è il ruolo della sanità privata? Cosmacini: Si deve parlare di sussidiarietà, cioè della sanità privata che dà un sussidio integrativo alla sanità pubblica, teso a sopperire le inevitabili carenze della sanità pubblica. Oggi mi sembra che in alcuni casi l?integrazione sia stata abbandonata per la competizione. Se utilizziamo un criterio esclusivamente concorrenziale, entriamo nel campo del consumismo: il discorso non è più ispirato a un?etica economica, ma a un?economia monetaria. Ci vorrebbero un ministro della Sanità e assessori regionali che di concerto con nobili, abili e motivati operatori privati sapessero coniugare l?esigenza del risparmio con l?esigenza di aver cura del paziente in un modo responsabile e consapevole. Che non è questione di esami o di farmaci, ma di cultura: il medico non solo diagnosta o terapeuta, ma curante nel senso pieno, quindi tutore della salute dei propri assistiti. Questo è un disegno, forse utopico, che calato nella realtà sarebbe produttivo di salute, di benessere fisico e psichico e di risparmio. Vita: Ma i medici sono disponibili? Cosmacini: Se non lo sono, li facciamo diventare!


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