Economia

La rottamazione del lavoro

editoriale

di Giuseppe Frangi

Ha usato un’immagine quasi brutale il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, per denunciare quello che sta accadendo con troppa frequenza in Italia: «Troppo spesso i lavoratori sono stati scaricati come inutile zavorra, una qualunque merce di scambio sottoposta alla legge della domanda e dell’offerta».
Zavorra, merce di scambio: sono due immagini che colpiscono allo stomaco e fanno pensare. Perché se è vero quel dice Bagnasco (e le tante storie che emergono quotidianamente dalle pagine dei giornali come pure i dati resi noti dall’Istat ad inizio settimana confermano che purtroppo è tutto vero), vuol dire che l’Italia rischia una triste regressione di civiltà. Il lavoro viene ridotto a semplice fattore di costo, da mettere sullo stesso piano di tutti gli altri costi da ridurre e tagliare per reggere all’impatto della crisi. Come scriveva qualche mese fa su queste pagine Luigino Bruni, «il lavoro è minacciato, precario, fragile, insicuro, sempre più vulnerabile e relegato sullo sfondo del nostro modello di sviluppo».
Ovviamente non è un discorso che va generalizzato, ma sembra incredibile che dopo tanto parlare di etica d’impresa, di responsabilità sociale, di ascolto degli stakeholder, ci si trovi a fare i conti con un imbarbarimento così diffuso e così legittimato (neppure la sinistra batte ciglio: del resto ha fatto salire sulle sue carrozze qualche imprenditore un po’ troppo spregiudicato?). Colpa della crisi, si dirà. Ma quelle immagini usate da Bagnasco insinuano che non è solo colpa della crisi. Siamo di fronte a una svalutazione non tanto del concetto astratto del lavoro, ma del valore umano e sociale di chi lavora. L’uomo torna ad essere un anello dell’ingranaggio, non un valore aggiunto a quell’ingranaggio. E questo con la crisi non c’entra.
Altri dati dimostrano che, nello stesso contesto, si può agire in modo diverso, scegliendo la priorità del “chi lavora”. Nel corso dell’assemblea di Confcooperative, lo scorso 26 maggio, è stato diffuso un dato che deve far pensare: su un complesso di 506mila persone occupate, il ricorso agli ammortizzatori sociali, in questi mesi del 2009, è stato inferiore all’1%. E si tratta comunque di ammortizzatori sociali, non di licenziamenti come quelli tristemente denunciati da Bagnasco. Questo vuol dire che quel sistema imprenditoriale capace di sviluppare un fatturato di 61 miliardi di euro, ha scelto come priorità, morale ma anche economica, quella di difendere il proprio capitale umano. Non è un caso che a tutte le cooperative che fanno parte del sistema sia venuta l’indicazione dal presidente di Confcoop, Luigi Marino di «sacrificare gli utili per dare priorità al mantenimento dell’occupazione».
Certamente si deve anche pretendere che la politica metta il lavoro tra le sue priorità, con i fatti e non solo con le parole. Ma la sensazione è che oggi il problema sia altrove: nel cinismo di troppi manager che magari si fanno vanto di aver frequentato qualche prestigioso corso di business ethic.


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