Non profit

La rivolta della società civile. Giù quelle armi

Per bloccare la nuova legge 185 sono scesi in campo associazioni, politici, vip e tanta gente comune. Ora la parola passa al parlamento. Per questo non bisogna fermarsi

di Gabriella Meroni

Cresce e si consolida il consenso della società civile (ma anche dei parlamentari) alla campagna lanciata da Vita e decine di altre associazioni per non eliminare la legge 185/90, che ha introdotto in Italia severi controlli alle esportazioni di armi. Ma cresce anche la voglia di capire in quale quadro e per quali ragioni si sia arrivati al tentativo (che speriamo vada fallito) di smantellare una normativa che ha collocato il nostro Paese nel novero delle nazioni civili. Perché ora che la mobilitazione prende corpo e autorevolezza, del disegno i legge incriminato si fa fatica a rintracciare padri e mentori. Quasi che nessuno avesse saputo niente, si fosse accorto di niente… Ma è credibile? Un regalo al mercato «No, certo. Il disegno di legge che smantella la 185 è un regalo al mercato e a un agguerrito gruppo di azionisti, che ormai da tempo attende che il carrozzone Finmeccanica diventi competitivo. Magari con più coproduzioni europee, ovviamente libere da fastidiosi controlli». È questa l?analisi, che assomiglia a un j?accuse, del massimo esperto italiano di commercio di armamenti: Francesco Terreri, 43 anni, giornalista ed economista, da quasi vent?anni impegnato a studiare produzione, export e implicazioni finanziarie del mercato delle armi italiano. Che oggi è dominato per oltre il 70% da Finmeccanica, ex carrozzone pubblico faticosamente privatizzato due anni fa, ma di cui il ministero del Tesoro conserva il controllo con una quota del 32%. «Si tratta di una società che fattura migliaia di miliardi di lire, 12mila nel 2000, ma che non riesce a essere realmente competitiva», spiega Terreri. «Anche per il singolare assetto societario: degli azionisti privati nessuno detiene una quota superiore al 2%, perché nessuno se la sente di diventare l?azionista di riferimento». Quel che si sa, grazie alle ricerche che Terreri ha realizzato presso l?Istituto ricerche economiche e sociali di Firenze, è che sicuramente tra i micro soci figurano alcune importanti banche italiane, come Banca di Roma, Unicredito, Montepaschi, Banca Intesa, Bnl. Sul resto, il buio: si sa solo che l?attuale dirigenza (presidente e amministratore è Alberto Lina) è di nomina pubblica, e targata Ulivo. Controlli fastidiosi «I privati scalpitano», dice Terreri, «perché c?è troppo pubblico, che controlla troppo, e per fare business, si sa, i controlli sono una zavorra. Poi c?è il comparto civile di Finmeccanica, che occupa ancora poco più della metà della produzione e dei guadagni, mentre è chiaro che i veri margini di crescita stanno nel militare. E il militare è frenato dalla legge 185. O almeno, lo è stato fino a oggi». Non serve un genio per capire, a questo punto, che senza la 185 gli affari di Finmeccanica sarebbero più floridi, la partecipazione privata più decisa e i guadagni più alti per tutti. Le manovre di investimento sono già cominciate: nella Finanziaria del 2002, infatti, le spese militari sono state le più alte degli ultimi due anni, avendo superato i 20mila milioni di euro (8 volte le risorse stanziate per l?ambiente, 12 volte quelle per la cooperazione allo sviluppo). Ad attendere il via libera per concludere affari non più gravati da vincoli etici, però, non è solo Finmeccanica: nel restante 30% del mercato delle armi pesanti italiane sguazzano infatti altre società. Tra queste, Fiat Avio (gruppo Fiat), Aermacchi (leader delle coproduzioni di aerei con il Sud del mondo), Siai-Marchetti (produttrice di aerei leggeri anti-guerriglia, venduti a migliaia, prima che la legge 185 lo vietasse, ai signori della guerra di tutto il mondo), Piaggio (che non fa solo scooter), Elettronica (protagonista nel ?99 di una fornitura da 1.200 miliardi di lire agli Emirati Arabi). In totale, una torta da 7.700 milioni di euro che potrebbero diventare molti di più, soprattutto se dal Parlamento arriverà il tanto atteso via libera. Con tanti saluti ai diritti umani.


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