Come avrete notato, cari amici lettori, la “rivolta del pane” sta interessando trasversalmente in questi giorni il Nord Africa, dall’Algeria all’Egitto, con epicentro in Tunisia, ed è sintomatica del malessere che attanaglia quei Paesi del mondo arabo che, più di altri, hanno instaurato in questi anni buoni rapporti con l’Occidente. A dire il vero, anche in Sudan, soprattutto a Khartoum e dintorni, vi sono stati disordini e si respira aria d’insofferenza; in questo caso, però, il risentimento è rivolto nei confronti di un regime fondamentalista islamico. Una cosa è certa: stiamo parlando di Paesi a stragrande maggioranza musulmana in cui la questione sociale è davvero rovente e questa potrebbe, prima o poi, manifestarsi in molte altre regioni del Sud del mondo, considerate al momento dalle cancellerie europee fuori pericolo. Il timore nasce dal pericoloso sommarsi, su scala planetaria, dei costi eccessivamente elevati delle derrate agricole con effetti devastanti sui ceti meno abbienti. Si tratta di una crisi economica generale e persistente, che priva milioni di persone, particolarmente i giovani, del proprio posto di lavoro. A ciò si aggiunga il fatto che ogni variazione benché minima di prezzi e tariffe, dal costo del carburante ai servizi della telefonia cellulare, intacca inesorabilmente i redditi, ormai ridotti all’osso, della povera gente. Nel frattempo, molti governi sono costretti a “raschiare il barile” per far fronte alla spesa pubblica, falcidiati come sono dalla crisi finanziaria globale e dall’incertezza di un sistema che fa acqua da tutte le parti. Detto questo, vi è però un dato positivo in quanto sta accadendo nel Nord Africa: si tratta, infatti, di qualcosa di spontaneo, dalla base, che non pare (stando alle informazioni che ho raccolto parlando con amici ad Algeri, Tunisi e Cairo) abbia a che fare con manipolazioni esterne da parte, per esempio, dei servizi d’intelligence stranieri o di gruppi di sobillatori legati al terrorismo internazionale. È per questa ragione che l’Europa deve vigilare affinché personaggi del calibro di Ben Ali o Hosni Mubarak escano fuori di scena definitivamente, dando la possibilità ai Paesi colpiti dalla rivolta di sperimentare l’agognata democrazia. In particolare, riflettendo su quanto sta avvenendo in queste ore in Egitto, bisogna evitare che siano formazioni estremiste interne al Paese, come quella dei Fratelli Musulmani, a cavalcare la rivolta. Se così fosse, sarebbe un vero disastro.
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