Salute

La rivolta dei genitori sui vaccini agli adolescenti? È il sintomo del loro narcisismo

Secondo Alberto Pellai le polemiche seguite all'apertura della campagna vaccinale alla fascia 12-15 anni «è l'esito della percepita falsa onnipotenza con cui ciascuno di noi pensa di essere padrone della propria vita. C'è un'enorme differenza, che oggi si è persa, tra “ciò che io penso” e “ciò che io so”. L'opinione non è una verità scientifica»

di Lorenzo Maria Alvaro

L'Aifa ha autorizzato la somministrazione del vaccino Pfizer anche nella fascia 12-15 anni: si tratta di 2,3 milioni di adolescenti. La notizia ha generato un'ondata di polemiche. A guidare la carica dei contrari i genitori, in particolare le mamme al grido di “il figlio è mio e decido io”. Che società è quella che, a fronte del bene comune, antepone un supposto interesse privato? E abbiamo parlato con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta, ricercatore e scrittore italiano.



All'annuncio dell'apertura della campagna vaccinale alla fascia d'età 12-15 anni c'è stata la rivolta dei genitori. Nello stesso tempo i giovani si stanno dimostrando i più propensi a vaccinarsi. Come si spiega questa dicotomia?
Direi che dentro c'è un contrasto che vede da una parte i genitori che criticano l'approccio vaccinale in età pediatrica e vorrebbero proteggere i figli da un potenziale eventuale rischio non ancora calcolato e previsto. Intendono in qualche modo che il rischio di malattia per i figli potrebbe essere inferiore a quello correlato alla strategia vaccinale. È il modo tipico con cui il genitore iperprotettivo si pone affermando che quello che serve al figlio lo sa lui. Dall'altra parte ci sono i ragazzi che aderiscono in massa in una tipica logica di crescita in cui per diventare grandi ci si stacca dalla dimensione protettiva dell'adulto e si entra nella dimensione esplorativa. Il bisogno di vaccinarsi dei ragazzi è che sentono che è un passaporto per la libertà, per riconquistare uno spazio in cui non sono più gli adulti che decidono per loro.

Concentrandoci sui genitori, che tipo di messaggio si dà a un figlio se a fronte degli ultimi due anni, si sceglie di disinteressarsi al tema del bene comune e della salute collettiva per concentrarsi su un particolare che è per altro rappresentato da una convinzione personale?
È un messaggio altamente diseducativo. La vedo così sia nella prospettiva da medico che da padre di quattro figli. È del tutto evidente che non li manderei mai allo sbaraglio a fare da cavie. È chiaro che se sono all'interno di un mondo globale in cui ci sono agenzie che si occupano della tutela e della sicurezza della popolazione nel momento in cui viene proposto un vaccino mi fido e mi affido. Non mi immaginerei mai di costruire una mia opinione intorno a qualcosa che è stato avvalorato scientificamente. Quello che i figli vedono in questo movimento dei genitori è che siamo ormai una società dell'io e non del noi. Un individualismo sfrenato la cui logica implicita, visto che tutti partecipiamo ad un progetto di immunità di gregge, è togliere un microscopico potenziale rischio a mio figlio per farlo correre agli altri. È evidente che chi si può permettere di avere una vita non avendo scelto la strategia vaccinale, lo deve a chi invece l'ha scelta. Credo che il vaccino sia oltre che un diritto anche un dovere. Un dovere verso la collettività. Che un genitore non riesca a trasmettere questo al proprio figlio è un fatto grave. Oltre a moltiplicare ansie e paure perché si elimina la sfera della fiducia.

Una cosa bizzarra è che, tenendo presente che lo scopo della campagna è l'immunità di gregge, noi sappiamo che non si sono voluti vaccinare 2,2 milioni di over 60. In questo modo si spiega l'apertura ai 2,3 milioni di adolescenti. Quindi in realtà gli adulti, più che proteggere i figli hanno scaricato loro sulle spalle la responsabilità di raggiungere la quota immunitaria…
Semplifichiamo. Il tema è che per questa infezione l'immunità di gregge viene garantita e mantenuta dal fatto che tutti ci immunizziamo. L'India ci insegna che lasciando scoperte ampie fette di popolazione, magari anche non rilevanti clinicamente, si lasciano al virus degli incubatori che gli permettono di produrre varianti molto velocemente che rischiano di farci ricominciare tutto da capo. C'è una visione oggettiva scientifica che non può essere un'opinione. Oggi ognuno si costruisce un suo modo di pensare dentro ai social, luoghi che sono una bolla che non fanno altro che esporti costantemente alla tua idea. Tutti aspetti della fragilità del mondo adulto che vuole sempre eliminare qualsiasi percezione di rischio. Il che è semplicemente impossibile.

Parlando di social sembrerebbero a questo punto gli adulti ad essere più disarmati rispetto a questo sistema…
Credo dipenda più che altro cosa ciascuno cerca sul social. I giovani hanno una posizione di scoperta, gli adulti di rivendicazione e affermazione. Un'attitudine che genera conflitto e divisione. Credo sia solo questo il problema

Tornando al tema della “proprietà” dei figli può essere che i genitori oggi siano abbandonati dalle altre agenzie educative che dovrebbero sostenerli in certe scelte e contribuire all'idea che i figli non sono un tema privato ma un tema comunitario?
Certamente oggi ciascuno pensa di essere l'unico vero esperto della propria vita. Che in una certa quota è anche vero. Ma quando i temi diventano tecnici, scientifici e richiedono una perizia e delle competenze molto elevate da che mondo e mondo ci si affida agli esperti. Oggi a parlare dovrebbero essere esclusivamente i pediatri e i genitori dovrebbero fare quello che dice il pediatra. Sta a lui identificare chi è meglio che non si vaccini e chi invece è bene che si vaccini.

Questa reazione non certifica anche una forte sfiducia nei confronti delle istituzioni?
No, questo documenta in realtà la percepita falsa onnipotenza con cui ciascuno di noi pensa di essere padrone della propria vita. È solo un problema di un narcisismo sfrenato secondo cui quello che penso vale più della verità scientifica che affermi tu. C'è un'enorme differenza che si è persa tra “ciò che io penso” e “ciò che io so”. L'opinione non è una verità scientifica.


Domani alle 15.30 sul canale Instagram di Vita ne parliamo con Don Antonio Mazzi


Photo by Hakan Nural on Unsplash

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