Cultura
La riscoperta della scuola
Circa 600 mila gli studenti stranieri alla campanella di inizio del nuovo anno scolastico: tra i banchi una rivoluzione epocale. In anteprima l'editoriale di VITA Magazine, in edicola!
Proviamo a immaginare la scena: primo giorno di scuola, prima ora. Una professoressa, dopo un?ultima battuta con i colleghi, si avvicina a passo svelto verso quella che sarà quest?anno la sua classe. La porta è spalancata, dentro un grande chiasso. Ma quando entra, per un istante, magari un piccolissimo istante, tutto si ferma: decine di occhi, curiosi, vitali, bizzarri, si fermano su di lei. E i suoi, in un unico sguardo, su di loro. Possiamo solo immaginare le domande, i pensieri, le attese e anche i timori che riempiono di tensione e di emozione quell?istante. In quell?istante non inizia semplicemente un anno scolastico, con tutta la fatica e anche la prevedibilità della sua routine. Inizia un?avventura. La scuola è un?avventura in cui un adulto accompagna nel cammino della conoscenza e della coscienza chi sarà adulto domani.
Forse, nella sarabanda dei problemi, nel tira e molla delle pretese, tutti abbiamo perso questa dimensione profonda della scuola. L?abbiamo ridotta a pratica burocratica, a parcheggio, a rituale stanco; se ci impegna, ci impegna per gli infiniti contenziosi che apriamo nei suoi confronti; per le lamentele che suscita. Invece non è così. E forse la prima cosa di cui la scuola ha bisogno, più di tutte le più belle riforme che si possano architettare, è proprio questo sguardo diverso. Lo sguardo di quel primo minuto della prima ora.
A volte pensiamo che questa scuola ?profonda? sia relativa solo all?esperienza di alcuni grandi che hanno protratto la verità di quel primo sguardo nella pratica delle giornate, delle settimane, dei mesi. Riguardi cioè la caparbietà di un don Milani tra i suoi ragazzi di Barbiana; o la passione travolgente di un don Giussani che sale i gradini del liceo Berchet di Milano; o la pratica umile e sapiente di un maestro per antonomasia come il maestro Lodi. In realtà loro non hanno fatto una scuola speciale. Semplicemente hanno colto cosa sia, nella sua sostanza, la scuola.
E’ un?idea semplice che Pietro Barcellona ribadisce con forza e quasi con commozione nel discorso che Vita pubblica questa settimana. Lui, filosofo dalla lunga storia comunista, spiega che la scuola è un crocevia tra presente e passato, dove chi detiene la memoria investe energie sulle generazioni future. Spiega che la scuola c?è laddove il sapere si vivifica sulle domande fondamentali che ogni uomo si deve porre se è sincero con se stesso e se non è stato irrimediabilmente manipolato nella sua coscienza. Chi sono io? Perché ci sono?
Le risposte, spiega Barcellona, non possono essere certo affidate a raffinate formule filosofiche che neppure potrebbero essere recepite dalla stragrande maggioranza di chi sta tra i banchi. La risposta – o il tentativo di risposta – a quelle domande necessarie è un?esperienza. è l?esperienza del rapporto che s?instaura tra chi sta in cattedra e chi sta nei banchi. Per questo la scuola è un?avventura: perché è il tempo in cui questo percorso di esperienza può realizzarsi, in modalità sempre uniche e aperte.
Non è una visione romantica. Siamo invece convinti che sia una visione realistica, perché fa leva sul solo fattore reale che può generare un cammino educativo: la passione verso il destino di chi sta seduto tra quei banchi. L?I care pronunciato da don Milani non è un di più, non è un optional per professori speciali, è la condizione che fa della scuola un?esperienza vitale. E vince il fatalismo di quella cultura pigra, cinica e succube dei luoghi comuni che rischia di paralizzarla. è certamente il miglior augurio che possiamo fare e farci per l?anno appena iniziato.
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