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La rinascita dell’Etiopia, tra asfalto cinese e luce per tutti
Intervista a Laura Girotto, religiosa salesiana oggi cittadina onoraria di Adwa, al confine con l'Eritrea, dove è arrivata nel 1994. Sabato 28 settembre, a Cento, l'evento per i 15 anni della onlus che sostiene la sua missione
Etiopia green. Da più parti si parla dello stato africano come in un nuovo, inedito periodo della propria storia: una svolta a 360 gradi, dove fotovoltaico e nuove dighe stanno facendo dimenticare le recenti guerre con la vicina Eritrea e decenni di popolazione allo sbando. Ma è proprio così? “Sì, il paese sta investendo in infrastrutture e facendo passi importanti nello sviluppo socio-economico: c’è ancora molta strada da fare, ma l’estrema povertà che ho trovato quando sono arrivata è oggi solo un ricordo”. Suor Laura Girotto, 69 anni di cui gli ultimi 20 spesi come missionaria nel paese del Corno d’Africa (con alle spalle periodi passati in Zaire, Siria, Medio Oriente, Libano e India), dove ha aperto una missione salesiana che oggi accompagna 2mila famiglie della città di Adwa in particolare nel settore educativo, è l’analista d’eccezione capace di gettare uno sguardo completo sul paese, come testimoniano i premi che ha ricevuto per la sua opera, ultimo dei quali la nomina di ‘donna dell’anno da parte dell’ong Soroptimist International Italia (nel dicembre 2005 ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Adwa, ed è anche l’unica donna europea consigliera nell’Associazione nazionale donne etiopiche). La onlus che sostiene l’attività della religiosa, Amici di Adwa, ha sede a Cento, provincia di Ferrara, ed è in questi giorni in festa per il 15mo anniversario, con l’evento cardine il prossimo 28 settembre 2013, quando avrà luogo il concerto ‘Musica per Adwa, solidarietà in famiglia’, in cui si esibiranno artisti internazionali di blues e jazz (tra cui Ella Armstong, figlia di Louis). Il ricavato dell’iniziativa andrà a sostenere il nuovo progetto di un ospedale nella cittadina etiope (a questo link tutte le informazioni).
Quali sono i punti di forza della rinascita in atto negli ultimi anni in Etiopia?
Da quando la guerra non minaccia più la popolazione, il governo ha messo in atto una seria opera di sviluppo a tutto campo, a partire da strade ed elettrificazione delle comunità. Oggi il 90% del territorio ha strade asfaltate e tutti hanno la luce. La diplomazia è continuamente al lavoro, soprattutto sul confine con l’Eritrea dove rimane comunque l’esercito schierato, perché nel Corno d’Africa le tensioni possono salire in breve tempo, come accaduto in passato. Un altro aspetto fondamentale dello sviluppo è la costruzione di tre grandi dighe, soprattutto quella alle foci del Nilo, che sta però causando attriti con l’Egitto, la speranza è che si risolvano presto.
Da dove provengono i fondi per le grandi opere?
Da un po’ di anni sono i cinesi a farla da padrone. Sono arrivati in Etiopia offrendo grandi opere con manodopera a costo quasi zero, dato che spesso utilizzati persone detenute per costruire le strade, non pagandole dato che fa parte della loro ‘rieducazione’ penale. C’è da dire che i lavori che compiono sono di infima qualità e necessitano di interventi riparatori già poco tempo dopo la loro conclusione, ma solo il fatto di aver asfaltato in pochi anni quasi tutta l’Etiopia ha reso inevitabilmente il loro apporto essenziale al progresso economico che sta vivendo il paese.
Si parla spesso di attriti legati alla religione nei paesi africani. Com’è la situazione ad Adwa e in Etiopia in generale?
Da noi non ci sono assolutamente problemi di alcun tipo, anzi, la convivenza è ottima. Stiamo parlando di un luogo in cui la maggioranza è cristiano-ortodossa (Axum, la città santa, è a 20 chilometri da Adwa, ndr), affiancata da una comunità cattolica sorta con il nostro arrivo, e una presenza musulmana. Nella nostra scuola, che oggi accoglie 1500 bambini dalla materna alle superiori, ci sono anche devoti dell’Islam, e il rispetto è reciproco. L’esempio più bello del nostro ottimo rapporto l’ho avuto alla morte di Giovanni Paolo II, quando l’imam cittadino è venuto a porgere le proprie condoglianze. A livello nazionale, invece, la situazione è diversa, soprattutto nel sud, dove l’Islam radicale sta facendo proseliti in modo molto rapido, e questo è un motivo di preoccupazione per il futuro.
Come è vista la vostra presenza in città?
Quando sono arrivata, nel 1994, in una situazione locale di povertà estrema, è stato ovviamente faticoso allacciare rapporti significativi con tutta la popolazione. Con il passare del tempo ci hanno conosciuti e accettati senza riserve, anche gli amministratori locali oggi ci stimano, e la cosa è reciproca. Il vero punto di svolta è stato nel 2001, quando c’era la guerra con la vicina Eritrea, il cui confine è a 30 chilometri da dove viviamo: dall’Italia ci era stato inviato un aereo per l’evacuazione, ma noi abbiamo scelto di rimanere a fianco della popolazione, per la quale eravamo un riferimento e un rifugio. Da allora siamo entrati nel cuore dei locali, e in tutta la regione ci conoscono. Sul piano nazionale è tutto un po’ più complicato, perché a livello centrale la burocrazia è un gigante, e spesso facciamo fatica a portare avanti le nostre richieste per la lentezza delle risposte e gli intoppi che si verificano.
Quando nasce e quali attività porta avanti l’associazione Amici di Adwa?
Nel 1998 cinque persone, ascoltando una mia testimonianza mentre ero in italia, a Cento, decisero di costituire un gruppo missionario per sostenere la missione che avevo aperto. Da allora, decine di persone aiutano come posso, organizzando varie iniziative di raccolta fondi, così come venendo direttamente sul posto: per esempio in questi giorni, mentre io sono Italia per partecipare all’evento di sabato 28 settembre e per alcune cure mediche, ad Adwa sta operando un gruppo di medici volontari di Padova. È soprattutto grazie all’impegno dell’associazione che oggi nella città etiope sono aperte, oltre a una scuola all’avanguardia nel paese, diversi laboratori professionali in particolare per ragazze madri, serre, stalle, campi sportivi.
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