Welfare

La rigenerazione urbana, una rivoluzione da Placemaker

Sono figure professionali nuove che immaginano le città del futuro. Non solo urbanisti e architetti, ma anche sindaci, imprenditori, animatori di comunità. Elena Granata, docente del Politecnico di Milano, lo spiega

di Luca Cereda

Se l’unità di misura con cui valutiamo lo spazio non è mai cambiata dall’introduzione del sistema metrico decimale – semmai è diventata più precisa grazie agli strumenti digitali -, è mutata, negli ultimi anni, la percezione che abbiamo degli spazi: se un metro quadrato è sempre, quantitativamente, un metro quadrato, un metro quadro di parco pubblico o di ciclabile in più e un metro quadrato di casa o di balcone in meno hanno fatto e stanno facendo una grande differenza.
Questo percorso ha subito un’accelerazione anche per via della pandemia, che ha cambiato il modo in cui guardiamo le nostre case: sta crescendo, ad esempio, la richiesta di tecnologie touchless che arrivano dopo lo sviluppo di quelle a comando vocale e quelle a riconoscimento facciale, di materiali dalle proprietà antibatteriche, come ottone e rame. L’abitazione è inserita in una zona di un paese o di un quartiere che a sua volta fa parte dell’ecosistema urbano più ampio: in quali luoghi potremmo voler trascorrere i prossimi decenni? E chi li sta pensando o progettando?

È il tempo dei Placemaker?

Dal 2020, con la pandemia e la mutata percezione degli spazi pubblici e privati, le città di tutto il mondo hanno cominciato a rimettere mano alle proprie strade, piazze e agli spazi pubblici. Ad esempio disegnando nuove piste ciclabili, anche provvisorie, oppure allargando i marciapiedi e chiudendo alcune strade alle auto per favorire biciclette e pedoni. L’altro fattore che ha reso il 2020 un anno interessante per lo sviluppo delle nostre città è che è stato l’anno in cui la mole dei materiali prodotti dall’uomo – dalle case alle infrastrutture, agli oggetti anche per contrastare il Covid – ha superato la biomassa vivente: gli esseri viventi e il mondo vegetale. Questo fatto chiama in causa gli urbanisti, i progettisti di spazi e chi politicamente quegli spazi li deve destinare: «Ecco perché credo che questa sia l’epoca di nuove figure professionali che ho ribattezzato Placemaker, ovvero gli “inventori dei luoghi che abiteremo” – spiega Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico di Milano – Il placemaker non costruisce, ma connette, re-inventa, rigenera e semmai deve togliere».

L'articolo continua su Morning Future.

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