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La Riforma va in Aula

di Alessandro Mazzullo

Approda nell’Aula della Camera il nuovo testo di riforma licenziato dalla Commissione Affari sociali. È stata una gestazione più lunga di quanto inizialmente previsto, ma sembra che il risultato finale abbia sostanzialmente confermato l’impianto strutturale approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso anno.

 

 

Come sottolineato dal Prof. Zamagni, una differenza significativa è rappresentata dalla mancata previsione di un’Authority specifica del Terzo Settore. Non si tratta di mero riparto delle attribuzioni amministrative tratteggiate dalla Riforma, ma della condizione sostanziale per riconoscere all’ente:

1) maggiori poteri autoritativi (propulsivi, di moral suasion, di controllo, di carattere giustiziale, di valutazione dell’impatto sociale, di regolamentazione normativa);

2) una maggiore indipendenza rispetto al potere politico (ed esecutivo, in particolare);

3) una maggiore capacità di coordinamento delle diverse funzioni amministrative attribuite ad altre PA: Ministeri, Agenzie, Regioni, Enti locali, Camere di commercio, ecc.

Si tratta di una delega che, nel complesso, apre la strada ad elementi di forte innovatività che potranno trovare concreta attuazione in fase di legislazione delegata.

Tra questi, mi pare che l’elemento di maggiore impatto sia sempre l’affrancamento del Terzo settore da quella visione improduttiva dentro cui è stato confinato dal legislatore codicistico del 1942 e la netta distinzione tra una finalità non lucrativa e la possibilità di svolgere attività commerciali: la prima, rimarcata dall’art. 1, non esclude le seconde, espressamente riconosciute dall’art. 2, co. 1, lett. b) come dall’art. 3, co. 1, lett. d).

Coerente con questa impostazione, è quella norma (l’art. 9) che mira a ridefinire gli enti non commerciali (che sarebbero meglio chiamare enti del Terzo Settore come fa l’art. 1) in base all’effettivo impatto sociale raggiunto e alle finalità non lucrative di interesse generale.

Importante è anche l’opera di ridefinizione e armonizzazione normativa che viene delegata al Governo rispetto ad una normativa caratterizzata da un livello di frammentarietà ed incertezza giuridica troppo elevato. In tale contesto, va apprezzato il tentativo di aggiornare ed integrare l’ambito operativo che identifica l’impresa sociale e le categorie di lavoratori svantaggiati (art. 6).

Sull’impresa sociale, tuttavia, manca un chiaro riferimento alla possibilità di riconoscere una leva fiscale che faccia perno non solo sugli investimenti, ma anche sugli utili effettivamente prodotti, tenendo conto delle zone di quasi-mercato in cui spesso si trovano ad agire le imprese sociali; ma anche in ragione di quell’impatto sociale che si concretizza in risparmio per la spesa pubblica.

Il punto è stato oggetto di un acceso dibattito in Commissione, anche in considerazione dei legittimi dubbi in tema di concorrenza e di aiuti di stato. Mi sembra significativo quanto sostenuto qualche giorno fa da Giovanna Melandri, in relazione ai margini lasciati aperti dal parere dell’Agcom (sulla compatibilità comunitaria di tali norme).

Come ho più volte sottolineato, tali aspetti dovrebbero esser correttamente letti anche in relazione alla disciplina comunitaria sui SIEG (servizi di interesse economico generale) che consente deroghe ai divieti sugli aiuti di stato che siano giustificati dal carattere compensatorio dei benefici apportati allo Stato (vedi sentenza Altmark). Sul punto, mi limito a ricordare che l’introduzione di “tax expenditures” per le imprese sociali rientra nell’ambito dell’azione chiave n. 11 della Social Business Initiative ed è posta in relazione specifica proprio rispetto all’assolvimento di quegli obblighi di servizio d’interesse economico generale che ammette deroghe alla disciplina ordinaria degli aiuti di Stato (art. 107 TCE).

Da ultimo mi pare importante sottolineare la rilevanza dell’accenno normativo al tema dell’impatto sociale.

Ma su questo, come su tanti altri punti, il vero banco di prova sarà rappresentato dal contenuto di cui il Governo vorrà riempire tali riferimenti, in sede di decreti legislativi.

Per ora la palla passa all’Aula della Camera dove si giocherà un’altra partita e dove si misurerà la capacità di tenuta del testo approvato in Commissione.

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