Leggi

La riforma col virus

Per le Onlus il danno e la beffa: non sono più ritenute essenziali e non godranno dei benefici fiscali. Previsti per legge

di Gabriella Meroni

Doveva essere la riforma sanitaria del non profit, è diventata l’apoteosi della cura di Stato in soli tre giorni. Tanti ne sono bastati al ministro Bindi per trasformare un testo che finalmente offriva al non profit un ruolo da protagonista nella sanità italiana in un gigante malato in cui il sistema statale rimane al primo posto e le centinaia di strutture non lucrative vengono ricacciate nel calderone del profit, insieme a chi in sanità fa i propri interessi e profitti. In tre giorni dunque Rosi Bindi è ricaduta nella sua malattia di sempre, lo statalismo, deludendo le speranze di chi, rimasto alla versione originale del decreto, aveva tirato un sospiro di sollievo. Eravamo in aprile quando molti titoli di giornale, corroborati da dichiarazioni della stessa Bindi, davano la notizia: la riforma sanitaria fa largo al non profit. Nel testo infatti si diceva per la prima volta che le strutture sanitarie non lucrative sono “costitutive” del Servizio sanitario nazionale. Una parificazione che riconosceva al Terzo settore il ruolo di servizio pubblico – che già esercita nei fatti – e che alcune Regioni (Lombardia ed Emilia, ad esempio) localmente avevano già messo nero su bianco. A maggio, però, il vento è cambiato: la parola “costitutive” viene eliminata, e sostituita dal molto più debole verbo “concorrono”. Una versione che resiste fino a mercoledì 16 giugno. Ma soli tre giorni dopo, il 18 giugno, in Consiglio dei ministri, ecco il ribaltone: nel testo definitivo compare un’aggiunta traditrice: alle strutture sanitarie non profit (definite dalla legge 460, quella sulle Onlus) che vogliono “concorrere” al Ssn si scippano i benefici fiscali che la stessa legge Onlus concede loro. Utilizzando da un lato la 460 per definire cosa è Onlus e cosa no (andando oltre gli intenti stessi della normativa), e dall’altro negando la specificità della 460, che è quella di concedere benefici fiscali. Un vero monstrum giuridico, nato forse dal maldestro tentativo di compiacere la lobby delle cliniche extralusso, penalizzate dalla fuga dei medici costretti a scegliere lo Stato per fare carriera. Il collaudato “metodo Bindi” Chissà. Di certo c’è soltanto che il collaudato “metodo Bindi” non prevede consultazioni, né giri di tavolo. Tante teste, tanti pareri potrebbero confondere il ministro già febbricitante per il virus del centralismo. Così le riforme, anche quelle più incisive, si fanno a porte chiuse. E pazienza se alla fine ad applaudire le conclusioni di Rosi non sono i malati, ma Enrico Cuccia e Cesare Romiti, Leopoldo Pirelli e Salvatore Ligresti, come è accaduto in un convegno a Milano nei giorni scorsi. E pazienza anche se il ministro della Sanità mostra di non saper distinguere la clinica Quisisana dall’ospedale dei Fatebenefratelli. «La prima versione della riforma era veramente coraggiosa» ci dice Ketty Vaccaro, responsabile del settore Welfare del Censis. E rincara: «Questo decreto così com’è è un non-senso. Perché togliere le agevolazioni fiscali a chi ne ha sacrosanto diritto? Forse non ci si fida ancora del non profit, pensando che vi si possano annidare i soliti furbi? Ma insomma, basta: così per colpire i pochi, ipotetici disonesti si penalizzano i tanti operatori per bene che lavorano da anni con impegno e senza i quali lo stesso sistema pubblico chiuderebbe i battenti oggi stesso. Spero che il decreto non passi, o per lo meno che il ministro dia una spiegazione plausibile». Cosa sarebbe infatti la sanità italiana senza i 3100 ospedali senza fini di lucro e i 3400 centri di servizi sanitari in cui lavorano quasi 90 mila persone tra medici, infermieri e volontari? E sempre in merito alle agevolazioni fiscali, la loro importanza è specificata dallo stesso decreto, che prevede sgravi per i fondi integrativi (quelli per le cure che esulano dai trattamenti minimi, di base) da destinare alle stesse strutture non profit. A cui però prima le aveva tolte. Evviva la coerenza. Ma forse Rosi Bindi non lo sa, come certamente non sa che gli Ircss (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) non hanno per niente bisogno di essere “commissariati” con direttori sanitari e organi dirigenti nominati con criteri definiti dallo Stato, come prevede la sua riforma, tanto che tutti gli Ircss d’Italia si preparano a ricorrere al Tar del Lazio contro questa ennesima decisione infelice. «La penalizzazione per la sanità non profit è notevole, e discutibilissima dal punto di vista giuridico» è l’opinione del professor Elio Borgonovi, docente all’università Bocconi di Milano ed editorialista de “Il Sole24Ore”. «Infatti se una Onlus è tale per natura, non può perdere le proprie caratteristiche in base all’attività svolta. Sarebbe una bella contraddizione. È come se il ministro dicesse: riconosco che siete importanti, perciò vi taglio le gambe». «Per migliorare il servizio ai cittadini sarebbe stato meglio introdurre un sistema di monitoraggio della qualità delle prestazioni e un’analisi dei costi per l’accreditamento degli interventi» suggerisce il professor Gianpaolo Barbetta dell’università Cattolica di Milano, autore di una ricerca sulle dimensioni Terzo settore sanitario. «Per stabilire quali servizi uno o l’altro devono erogare». Le Regioni spiazzate Reazioni incredule anche dal mondo delle Regioni, in particolare dalla Lombardia, dove già da quattro anni un pacchetto di leggi sanitarie permette al cittadino di rivolgersi indifferentemente a strutture statali o non statali, in base a criteri di qualità. «Siamo sconcertati, anche se ce lo aspettavamo» dice Stefano Del Missier, uno degli autori della rivoluzione sanitaria lombarda. «Purtroppo la Bindi è allergica al privato, di qualunque natura. E i richiami di 20 Regioni a tenere conto di quanto deliberato localmente non sono stati sufficienti a farle cambiare rotta». Anche l’Emilia Romagna, che certo non passa per la patria del liberismo sfrenato, da un anno aveva affermato il ruolo pubblico delle organizzazioni del privato sociale, come testimonia il dottor Vincenzo Erroi, direttore dell’Istituto oncologico romagnolo (1200 malati terminali assistiti l’anno a costo zero per i pazienti grazie al riconoscimento regionale). «La Bindi ha ignorato il nostro lavoro» dice il dottor Erroi. «Non è vero che “concorriamo” e basta, siamo più che costitutivi, perché senza di noi i malati sarebbero soli». Il ruolo effettivo delle regioni è poi un altro punto oscuro della sanità targata Bindi, visto che i finanziamenti e gli accrediti dovranno arrivare da Roma. «Siamo alla morte della sussidiarietà» riassume il professor Valerio Melandri, docente di Economia all’università di Bologna e collega del professor Zamagni, il padre della 460. «Qui si dice che la sanità in Italia è statale, fatta dallo Stato, e il resto è un particolare. Siamo a un livello di centralismo impressionante. Ho un sospetto: secondo me la perdita dei benefici fiscali previsti dalla 460 si può spiegare soltanto con l’acquisto dello status di ente pubblico da parte dell’organizzazione non profit che accetti di entrare nel sistema sanitario. E così abbiamo chiuso il cerchio. L’ente non profit si suicida trasformandosi in un nuovo soggetto pubblico, e la Bindi avrà un problema in meno». Scenari irreali? Ipotesi fantascientifiche? È quanto vogliono credere – per ora – molti operatori del Terzo settore sanitario, che accolgono il testo Bindi con un misto di incredulità e sconcerto. «Ma che si vuole fare? Si torna indietro, dobbiamo rifare la 460 da capo?» si domanda Rossano Bartoli, segretario della Lega del Filo d’Oro. «Ora che siamo Onlus, nessuno ci deve toccare questa qualifica, altrimenti siamo pronti a dare battaglia». «Quando il non profit serve, giù con i complimenti. Ma quando si tratta di sostenerlo nei fatti, tutti si tirano indietro» fa eco Vincenzo Erroi. E il dottor Angelo Carenzi, responsabile del settore sanità della Compagnia delle Opere, definisce la riforma «penalizzante per l’autonomia regionale e lontanissima dal concetto di solidarietà che pure esprime, perché riduce i servizi sanitari offerti al cittadino, aumentando i costi con l’introduzione delle mutue integrative». Insomma una bocciatura in piena regola. Sperando che questo basti ai parlamentari per trovare un antidoto al virus di Rosi. ha collaborato Stefania Olivieri «Il non profit è costitutivo del Servizio sanitario. Anzi no». Così parlò (tre volte) il ministro Rosi Bindi TESTO ORIGINALE (APRILE‘99) Art.2 2-septies. Le istituzioni pubbliche, quelle equiparate ai sensi dell’articolo 4, comma 12, i cui regolamenti siano stati approvati dal Ministero della Sanità e le istituzioni a scopo non lucrativo sono costitutive del Servizio sanitario nazionale. Le istituzioni a scopo non lucrativo concorrono, con le istituzioni pubbliche, alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona. Ai fini del presente decreto sono da considerarsi a scopo non lucrativo le istituzioni che svolgono attività nel settore dell’assistenza sanitaria e dell’assistenza socio-sanitaria di cui all’articolo 4, comma 12, qualora ottemperino a quanto previsto dalle disposizioni di cui all’articolo 10, commi 1, lettere d), e), f), g), h), e comma 6 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460. TESTO MAGGIO-GIUGNO ‘99 Art. 1 16. Le istituzioni e gli organismi a scopo non lucrativo concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate di cui all’articolo 4, comma 12, alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona. Ai fini del presente decreto sono da considerarsi a scopo non lucrativo le istituzioni che svolgono attività nel settore dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria, qualora ottemperino a quanto previsto dalle disposizioni di cui all’articolo 10, comma 1, lettere d), e), f), g), e h), e comma 6 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460; resta fermo quanto disposto dall’articolo 10, comma 7, del medesimo decreto.” TESTO APPROVATO (18 GIUGNO ‘99) 16. Le istituzioni e gli organismi a scopo non lucrativo concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate di cui all’articolo 4, comma 12, alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona. Esclusivamente ai fini del presente decreto sono da considerarsi a scopo non lucrativo le istituzioni che svolgono attività nel settore dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria, qualora ottemperino a quanto previsto dalle disposizioni di cui all’articolo 10, comma 1, lettere d), e), f), g), e h), e comma 6 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460; resta fermo quanto disposto dall’articolo 10, comma 7, del medesimo decreto. L’attribuzione della predetta qualifica non comporta il godimento dei benefici fiscali previsti in favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale dal decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460. GLI ALTRI PUNTI CONTESTATI • Concertazione addio. Il metodo dei governi di centrosinistra è stato abbandonato dalla Bindi nella sua crociata pro riforma. La versione definitiva del testo non l’ha letta quasi nessuno. • Federalismo addio. I finanziamenti alla Sanità non verranno più decisi dalle Regioni ma dal Governo, con la ragione/scusa del controllo della spesa. • Statalizzazione degli Ircss. Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono obbligati a recepire la struttura e dirigenti decisi con criteri statali. • Budget rigidi. L’aziendalizzazione dagli ospedali viene trasferita alle Asl, con precise regole di bilancio. Poco chiari i meccanismi di rimborso per prestazioni extraregionali. • Eccessiva precisione da una parte, eccessiva vaghezza dall’altro sono due difetti del decreto. Verranno corretti con i regolamenti attuativi?


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA