Simon Johnson, capo economista del Fondo monetario internazionale fino al 2008 e ora professore universitario, in un articolo scritto nel 2009 sosteneva che in America una oligarchia finanziaria aveva praticamente preso il controllo degli affari della nazione, un “colpo di Stato” silenzioso iniziato nel periodo di Reagan e dilagato con le successive amministrazioni. Negli anni 70-80 la finanza aveva un peso del 16% sui profitti aziendali, nel 1990 del 21% e nel 2008 ha raggiunto il 40%.
Lo scorso agosto Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, annunciò che la banca centrale sarebbe intervenuta con il secondo programma di aiuti all’economia. Da settembre, passando attraverso le banche, vengono pompati sui mercati azionari ogni mese 75 miliardi di dollari. Da allora l’indice SP500 è salito del 25% ed il Nasdaq del 31%. Ma chi beneficia di tutto ciò? Semplice, il solito 10% degli americani che ha in mano il 98,5% delle azioni. Il rimanente 90% detiene titoli di Stato che fino a pochi anni fa rendevano intorno al 5% mentre ora, con l’inflazione tenuta artificiosamente bassa, rendono solo lo 0,20%, insufficienti a contribuire a pagare le spese con le pensioni e gli stipendi fermi da anni. L’effetto di questa politica è stata quella del trasferimento della ricchezza dalle tasche della massa degli americani alle banche di Wall Street e ai loro azionisti.
Il solo miracolo sinora ottenuto è la salita delle Borse. La crescita dell’occupazione è modesta e i dati delle vendite al dettaglio mostrano un aumento dell’8% dei magazzini di lusso ed appena dell’1,2% di quelli popolari. Le vendite di Tiffany, Porsche, Vuitton sono aumentate di oltre il 10%. Ma si tratta solo di una prosperità illusoria e che riguarda pochi individui. Infatti il numero delle persone che dipendono dai programmi di assistenza alimentare è salito a 43,2 milioni, il 14% degli americani. La classe media, vero punto di forza della super potenza, si è impoverita, è diventata invisibile e dimenticata dai media.
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